venerdì 17 ottobre 2014

L'olivastro Inveges - Storia/Testimonianza) (1)


La nostra amica Teresa Rogliero, ci manda una storia vissuta dalla sua famiglia in prima persona, inoltre, sopra è stata costruita una storia dell' orrore dalla stessa Teresa. Godiamoci la sua testimonianza e dopo facciamoci venire i brividi con la sua storia, costruita a d' oc ! Vi lascio, alle sue parole !

Premessa

Dunque da premettere che l’albero della storia esiste davvero e tutt'oggi è lì enorme e maestoso.
E’ un albero d’ulivo secolare e ci sono state delle testimonianze di eventi di natura paranormale.
Si trova a Sciacca, un paese siciliano in provincia di Agrigento. In paese ogni tanto si sentono storielle strane sull'albero e ho voluto costruirci una creepypasta per farlo conoscere anche sulla rete.
Per i curiosi possono vedere l’ulivo tramite le coordinate con google map: 37.559983,13.057991
Esistono anche degli articoli sui giornali e uno in particolare l’ho trovato sul web.
Link dell’articolo sul giornale: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/ar...li-spiriti.html

Il primo pezzo è basato su un evento successo realmente raccontato da mia madre che è stata sul posto con mia sorella e alcuni amici.
Mia madre lo raccontò spaventata ed entusiasta allo stesso tempo (è appassionata di spiritismo), mia sorella invece tutt’oggi si rifiuta di parlarne.


L’oleastro Inveges

Era sera inoltrata avevamo appena finito di cenare a casa della zia, quella molto affiatata con noi. La seconda mamma, si chiacchierava e si scherzava, solite serate dedicate a stare tutti insieme.
Avevo circa 15 anni quella sera, era un periodo strano in cui non avevo voglia di stare con i miei coetanei. Non sono mai stata brava a fare amicizia.

Lo zio iniziò a parlare di piatti prelibati, di verdure cotte in una certa maniera, e confessò di desiderare ardentemente di mangiare le zucchine, quelle tipiche della zona, lunghe, dalla scorza chiara e liscia. Al mercato costavano troppo. Improvvisamente lo zio ci guarda e sorride
<<ho visto un campo pieno di zucchine, è in una zona internata potremmo andare a raccoglierne qualcuna, non se ne accorgerà nessuno.>> Lo guardammo tutti perplessi, non era molto onesta come azione, ma il fratello dello zio riuscì a convincere tutti col suo entusiasmo e partimmo in macchina fermandoci sulla strada vicina al campo.

C’era la luna piena quella notte, illuminava abbastanza bene il campo quindi non avevamo bisogno di torce. Quando scesi dalla macchina lo vidi: si ergeva maestoso nel campo proiettando ombre inquietanti attorno a lui. Un ulivo, secolare, lo doveva essere per forza; era troppo grande per essere un albero normale. Così grande che pensai che non fossero riusciti a estirparlo per liberare quella zona e renderla coltivabile come il resto del campo. Un po’ come una maledizione che condanna qualcosa, rendendola per sempre sua.

Gli zii e persino mia madre sembravano divertiti; scossi la testa pensando che in fondo alcune persone non crescono mai, una verità fin troppo azzeccata. Ma era proprio per quello che mi piaceva stare con loro, si poteva ancora scherzare e fare leggerezze come andare a rubare nei campi. Eravamo in 5, zia, zio e fratello, Mamma ed io. I fratelli si abbassarono a raccogliere le zucchine vicino al maestoso albero, io non ero molto pratica così mi misi a passeggiare senza allontanarmi troppo. Mi incuriosiva quell’albero così enorme, tanto che provai a girare attorno al tronco, era strano: sembravano quasi due alberi intrecciati, contorti fino a diventarne uno solo. Le fronde erano grandi, un lato risultava così pesante da piegarsi verso il basso quasi volesse toccare la terra. Era imponente, fantastico, avrei voluto vederne bene i colori di giorno. Sentii poi lo zio lamentarsi, imprecò più volte facendomi sobbalzare come se mi avesse svegliata da un sonno profondo, tornai dal gruppo chiedendo cosa fosse successo ma lo zio disse soltanto che si era tagliato.

Suo fratello volle raggiungerlo per capire se era un taglio profondo, ma inciampò su una delle radici dell’albero e dopo la sua rovinosa caduta successe qualcosa di strano… molto strano. Dall’albero iniziarono a sentirsi dei versi striduli, come se uno stormo di uccelli si fosse spaventato: era un suono forte e cresceva sempre di più. Divenne così assordante che mi costrinse a coprire le orecchie. Mi domandavo quale razza di volatile potesse emettere un suono così forte; non c'era alcun uccello sull'albero e nonostante ciò i versi non volevano smettere. Spaventata, chiamai mia madre che mi raggiunse ma questo non fece che far aumentare i suoni e a quel punto anche gli zii si spaventarono.

<< Che diavolo è?>> fece lo zio, tenendosi la mano ferita e camminando nel campo per uscire e arrivare sulla strada. Andammo nel panico, l’unica pensiero che ci accomunò fu l’istinto di dover fuggire. Iniziammo a correre verso la macchina, ero vicino a mamma che mi aveva afferrato per un braccio e lo tirava, correndo. Inciampò di colpo e mi cadde addosso.
<< L’erba…>> fece spaventata strattonando il piede da terra, sembrava che si fosse impigliata. La aiutai a tirare via la gamba, la zona era in ombra e non sapevo cosa ci fosse, ma qualcosa aveva intrappolato la caviglia di mamma. Riuscì ad aiutarla e continuammo a correre ma anche i miei piedi ebbero lo stesso destino, trattenuti da radici o erba, era strano! Ebbi la sensazione che l’erba cercasse di afferrarmi e lo spavento fu uno stimolo sufficiente per potermi liberare e allontanare. Anche gli zii ogni tanto cadevano e quel rumore assordante non voleva smettere di crescere, fino a che non iniziò a coprire le nostre voci. Lasciammo le zucchine a terra e arrivammo alla macchina, spalancammo le portiere come se fosse l’ultima cosa che facevamo, richiudendole con altrettanta forza per poi andare via il più velocemente possibile. Quei versi mi sembrava di sentirli ancora forti in macchina, rimbombavano nella mia testa e in quella dei miei familiari.

Lo zio accelerò e ci allontanammo in fretta da quella strada. Solo dopo diversi metri quei suoni fastidiosi smisero di colpo.
<< Che cosa è stato? >> chiese il fratello di mio zio, ancora scosso, si vedeva dal suo sguardo che era frastornato, come tutti dopotutto.
<< Non lo so, dici che era un allarme? >> chiese zia, non molto convinta di quello che diceva, come se volesse convincersi o darsi una spiegazione logica, razionale. Zio fece spallucce, cercando di non pensarci, fissando la strada ma osservandola con poca attenzione. Respiravamo tutti affannati, nessuno si guardava tra di loro, incapaci di reagire.
Nessuno di noi riuscì a spiegare cosa fosse successo e da dove arrivasse quello stormo di uccelli.
Loro parlavano di uccelli, ma io ero sicura che non potevano essere suoni normali, erano troppo strani e troppo forti per essere una cosa del genere, ma non tornarono mai dopo essere scappati e la vita tornò alla normalità.




Qualche giorno dopo ero a scuola, la ricreazione era iniziata da pochi minuti e mi trovavo seduta su uno dei scalini nel cortile della scuola. Le mie compagne di classe chiacchieravano ma io non riuscivo a seguire i loro discorsi, continuavo a pensare a quello che era successo qualche sera prima. Non riuscivo a capire, mi sentivo confusa, avevo subito tutto quanto senza riuscire a vedere qualcosa. Sospirai e bevvi un sorso di coca cola mentre la mia compagna di scuola, Martina, parlò di zucchine staccate nella campagna del suo ragazzo. Sentii le bolle della coca salire su per il naso, mi sentii soffocare e dovetti sputare il liquido per non soffocare.

<< Che cosa? >> chiesi alla mia compagna dopo aver finito di tossire.
<< Giuseppe mi ha detto che stamattina in campo suo padre ha trovato delle zucchine staccate, qualcuno aveva cercato di rubare le zucchine, ma alla fine non le hanno prese, le hanno lasciate lì, che strano.>> quelle parole mi sembrarono un ritratto di ciò che avevamo lasciato al campo.
<< Dove è questa campagna? >> chiesi per essere sicura.
<< E’ nella contrada Scuncipani, hanno la terra vicino l’olivastro. >> fece Martina. Mi venne da ridere, era proprio dove eravamo andati noi la sera prima. Alle chiacchiere si aggiunse anche Daniela, che aveva sentito parlare di olivastro.
<< Intendi quello infestato dagli spiriti? >> fece lei quasi spaventata. Daniela era una gran credulona, dava credito a tutto: alieni, maledizioni, case infestate e altro. Le piacevano molto quei discorsi e per la prima volta in vita mia mi interessai anche io a quell’albero. Le chiesi informazioni e mi raccontò di una storia: si vociferava che il ventre dell’albero fosse un covo di fate. Non si poteva spezzare un ramoscello senza incorrere in qualche sventura, inclusa la morte.

Mi disse che quell’albero era nato da altri due: padre e figlio che si incrociavano creando quel fusto enorme. Non mi aspettavo che un albero avesse avuto un fondamento nella storia. Daniela mi disse anche altre assurdità, ad esempio parlò di riti satanici soltanto perché il padre del fidanzato aveva trovato delle candele usate. Mi raccontò un aneddoto del fidanzato che scherzava con amici suoi sotto all’albero, lui raccontò la storia dell’albero agli amici che non gli credettero e neanche lui gli dava credito, ma per farsi grande agli occhi dei suoi amici spezzò un ramo dell’ulivo. E quando tornarono in città con i loro motorini ebbe un incidente dove si ruppe la gamba, forse perdendo il controllo a causa di una radice sulla strada. Un albero famoso quello in contrada Scuncipani quindi, eppure io non ne avevo mai sentito parlare. La ricreazione finì e mi convinsi che erano tutte fantasie, scemenze e con i miei familiari magari avevamo davvero attivato un allarme e con l’adrenalina alta l’immaginazione ci fece viaggiare verso qualcosa di orribile, di paranormale.
Quanto mi sbagliavo.





Con gli impegni quotidiani, la scuola e gli hobby, mi dimenticai dell’albero. Accantonai nei ricordi l’esperienza vissuta sotto le fronde di quel ulivo. Non ci pensavo quasi più fino a quando non venni invitata ad una scampagnata con alcuni compagni di classe per commemorare la fine dell’anno scolastico. Non ero molto convinta ad andare ma alla fine riuscirono a convincermi e partecipai. Era estate e c’era un caldo torrido, soffocante. Fortuna che la casa del fidanzato di Daniela era spaziosa e potevamo trovare fresco sotto la tettoia della veranda.

E proprio lì in lontananza vidi le immense fronde dell’ulivo. Il ragazzo di Daniela rievocò ancora la storia del suo incidente, imprecando verso l’albero, ironico ovviamente: come poteva essere lui la causa di quello sventurato incidente? Questo non lo frenò dal gettare una bottiglia nella direzione dell’ulivo, chiaramente senza colpirlo ma guardandolo con scherno e disprezzo. La giornata passò tranquilla, si sentivano le cicale frinire, non vi era un filo di vento e l’aria era davvero calda, così calda che mi sembrava di bruciare.

Ci stavamo rinfrescando con delle bibite ghiacciate quando vidi del fumo, pensai che probabilmente c’era qualcun altro che stava grigliando da qualche parte, ma il fumo aumentò rapidamente rendendo l’aria sempre più densa e scura. Sentimmo la puzza di bruciato, chiamai Daniela e il suo ragazzo: quando anche lui vide il fumo si allarmò, prese il cellulare e chiamò i pompieri, dicendogli di correre, dopodiché il ragazzo si fiondò a controllare la situazione. Daniela lo seguì e lo feci anche io, vedemmo i campi che si erano incendiati, sicuramente a causa del caldo.

Il fuoco aveva invaso molti ettari di terra, compresa la zona del grande ulivo. Quando arrivammo sul posto sgranai gli occhi, convinta di essere vittima di un abbaglio a causa del fumo. Le fiamme non si era avvicinate all’albero, tutto attorno ad esso bruciava, ma non una singola fiamma risaliva il tronco dell’ulivo, né le sue radici lasciando le fronde libere dal fumo. Non potevo crederci: il fuoco lo aveva ignorato come se qualcosa lo stesse proteggendo o forse era il fuoco stesso che non osava avvicinarsi tanto.

Sentii di nuovo il suono di quegli strani uccelli, nonostante non ne vedessi nessuno. E non poteva essercene nessuno con tutto quel fumo! Urlavano e si insinuavano nelle orecchie sempre più forte, lo sentirono anche Daniela ed il suo ragazzo, quel suono divenne sempre più forte e fastidioso al punto che mi gettai a terra non curante delle fiamme, in ginocchio, abbassando il capo e serrando gli occhi, per poi gridare: << Ma che cos’è?! >>
Nessuno dei due mi rispose, si tapparono le orecchie anche loro. Daniela si piegò all’indietro gridando spaventata, il fumo negli occhi le gonfiò le lacrime e molto presto lo stesso destino toccò anche a me, durante il vano tentativo di guardarmi attorno per cercare di allontanarmi o almeno recuperare i miei amici.

Ricordo distintamente di aver visto la figura del ragazzo di Daniela, nonostante il densissimo fumo: era come colto dagli spasmi, come se il fumo lo avesse già intossicato. Piangeva probabilmente sempre a causa del calore e del fumo, fino a che non cadde in ginocchio anche lui: poi gli occhi cedettero e mentre le lacrime sfocavano la sua figura, tossì un ultima volta per poi svenire.

Ci pensarono le sirene dell’ambulanza a farmi riprendere, ne vedevo altre due andare via, mentre cercavano di farmi respirare con una mascherina. Non ricordo bene cosa successe dopo, se non che gettai uno sguardo verso l’albero oramai libero dalle fiamme, completamente illeso. Cosa invece ricordo distintamente? Le parole del ragazzo di Daniela quando lo andammo a trovare all’ospedale: noi stavamo bene, ma lui era messo decisamente peggio. E mentre si grattava le piaghe lasciate sul suo volto oramai deturpato dalle fiamme, mostrava con gli occhi di un bambino terrorizzato la gamba che in passato si era rotta, ora amputata a causa delle ustioni: <<lì non ci torno mai più>>

Ancora oggi, guardando quell’albero da lontano, sento gli occhi gonfi, l’aria pesante e le orecchie che fischiano come se dovessero esplodermi da un momento all’altro.


Teresa Rogliero

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