giovedì 22 dicembre 2016

Fenix Tales - "LCI" Il Lyric Video




I fiorentini Fenix Tales hanno pubblicato il lyric video del brano “LCI”, brano tratto dall’album "The Abyss eye".
Si tratta di un brano melodico, voce, piano e basso, dai tratti struggenti e di oscura inquietudine.
Ovviamente, lo trovate qui di seguito, enjoy ! ;)

Anthony




domenica 18 dicembre 2016

Il Male che c'è - Racconto #10

Il Male che c'è



Anthony Weird

Mi piace guardare quelle linee che si formano sulla pelle dei tuoi fianchi, quando hai freddo. Seguirle con la punta del dito, come se fossero il delta di un fiume fatto di voluttà.
Aprire la mano sulla tua anca, il riversarsi delle acque calde e candide nel mare. Questo mare immenso e calmo. Agrodolce, come la salsedine sulla tua cute liscia. Mi piace la forma che assumono le tue labbra, intorno al mio cazzo.
Vorrei massaggiare il tuo cuore, avvolgerne il battito in una stretta lieve, trasferire il tocco della mia mano in uno stimolo ardente tra le costole. Rumore di unghie sulla lavagna, il mio graffio sul tuo ventricolo destro. Vorrei vedere il mio seme fuoriuscire dai tuoi tagli, crema densa dalla pelle, vorrei vederlo colorarsi e marcire, quando si mescola a quello di chi ti ha fottuto prima di me. Allora stringerei le dita, una presa forte, morsa intorno all' organo della vita, presentarti la miseria direttamente dal mio sguardo, come quando assetata ti abbeveri a me, non più sorrisi, non più dolcezza. Il vomito nel piatto alla nostra tavola, l' ipocrisia nei baci a tua madre, la viltà, oscena e palese, mal celata nei saluti ad estranei, mentre ci scambiamo i germi in contatti fisici desiderabili e raccapriccianti. Mi fa orrore il tuo viso, ma ho bisogno di scoparti; mi fa schifo il tuo corpo, ma ti voglio tra le cosce. Ripenso al tuo rossetto sbavato, al trucco colante mescolato alle lacrime, al sudore, alla saliva, come la peggiore delle puttane ti davi da fare in ginocchio davanti all' unico Cristo che conosci, il Salvatore della tua misera esistenza, che ci dona scampo dalla morte del tuo sesso.
Il tuo, un corpo senza forze dall' anima carica. Riversa sul fianco in questa stanza in riva al mare, nutrendoci della sua aria viva trovi la costanza di alzarti, sorridere agli amici, ai conoscenti. Apri le gambe a tutti i tuoi amori, baci di plastica e gemiti in radio, ma poi non v' è pace sul fondo di quel pozzo. I deliri metropolitani, raccontati ad un bicchiere in cambio di macchie di rosso alle labbra, rosso per le labbra, rosso sulle labbra, di quello finto, per sembrare belle, per apparire serene e felici, con il nero per coprire lo squallore incastonato intorno ai tuoi occhi, perché di colpo non v'è più bellezza in te. Ripenso ai giorni vuoti, seduti a tavola con le televendite a riempire il silenzio pungente, un ago piantato nei timpani, tenero, lieve scintillio di luci metalliche nel grigiore piatto della nostra cucina. Il carnevale sulle guance, sotto il naso che non ama più il tuo profumo come prima.
Prima. Prima quando ? Quando la sincerità non si contava, quando ero ancora abbastanza per te. Un uomo unico e solo da baciare, da abbracciare, con cui scopare ed a cui chiedere di tutto e di più. Ti guardo arrancare sbraitando, ripenso ai pomeriggi spalla e spalla in macchina, senza dire una parola, qualsiasi sibilo poteva squarciare l' aria e la nostra tranquillità. Stringevo il mio cuore tra le unghie, le dita arcuate, come un rapace affamato, non mollavo la presa. Tenevo duro, soffrivo in silenzio, perché tutto si supera, tutto passa, insieme, tutto si risolve; è una fase mi dicevo, è stato un momento di debolezza mi ripetevo, poi tutto tornerà come prima, basta amarsi...basta volersi bene. La nostra famiglia è più importante. Vorrei afferrarti il cuore e strappartelo via dal petto. Armeggiare nel tuo torace, nelle viscere putrefatte, contorcere le budella con le mani, per farti capire cosa si prova. E poi perdonarti, pensare che siamo essere fragili, pregni di solitudine. Guardarti li, nel tuo vestito, con quelle scarpe ed i capelli pietosi, cerchiamo di guarire dal nostro male e poi torniamo ad intossicarci. Suicidio forse ? Per scappare, ritirarsi, dignitoso e definitivo. Non un suono nella nostra casa. Quando ti allontani ed esci per fare la spesa, con il dubbio di se torneai, con la consapevolezza chiara ed orribile di trovare eccitante il tuo essere carne da macello, nel martoriarmi il sesso con le mani, il terrore nel ventre tuo. Sborrare. Vomitare. Piangere e poi aspettarti ancora. Dietro la porta. Messo da parte. Siamo immersi nella nostra stessa violenza. Indelebile, costante, il cadavere del nostro amore violato, come uno zombie immondo ed innaturale, ancora si trascina. Ultimo spasmo questo week-end, nella camera della nostra luna di miele, morire sopra di te, come anni fa. Malati di desiderio, accecati dal bagliore che emanavano i nostri sorrisi uniti. Non brillano più i tuoi denti bianchi, eppur contaminati da altri, insudiciata è stata la tua bocca, la fonte del respiro che mi infiammava il cuore ed il sesso. Il sangue bolliva e le vene pulsavano e sbattevano, al profumo del tuo alito. Allo sfiorare delle tue labbra. Ora puzzi. Un corpo sei, non c'è un' anima da cercare. Nauseabondo l' odore che proviene dai nostri piatti, cibo senza amore, una cottura che non brucia, quel tuo modo di mangiare, amavo il tuo essere composta ed educata. Solo ipocrisia. Ripenso ai nostri abbracci, ai baci rubati quando tuo padre ti controllava, ai sorrisi, alla gioia ed a quell' amore che ci rendeva invincibili, immortali. Non immaginavo che quella fosse l' ultima tenerezza di cui potevi essere capace. L' ultima tenerezza. Mi piaci ancora, con la mano sotto la pelle, accarezzandoti lo stomaco vivere le carni tue, fresche d' estate, calde in inverno. Una stretta violenta, fredda, vorrei divenire ansia, essere il tuo desiderio ed il tuo terrore. Non lasciarmi perché mi temi. Non lasciarci perché mi ami. Farti a pezzi. Tormentarmi per il rimorso per il desiderio. Il rimpianto di non averti inculata per rispetto, occasioni mancate dato che il rispetto è qualcosa che non ti è familiare. Resto qui, seduto nel niente, a fissare il vuoto. Riflesso di ciò che sono diventato, di ciò che insieme ancora saremo.
In vita io piango. Vorrei pensare a te come ad una donna e come tale femmina, pensarti come labbra ardenti, come seni e come cosce, vorrei pensare a te, per i tuoi capelli profumati, per il fiore che porti nel ventre e per le voglie che m' accendono il sangue e la passione. Invece no, penso a te, soltanto perché sei tu. Lacrime cariche di felicità scolata via in questo calderone di miseria. La tua lussuria, così potente, più forte di qualsiasi amore, una voragine infinita da colmare, solitudine che batte, incessante, senza pace, forse anche per questo ti avevo chiesto di restare, anche se ormai scorre un fiume ghiacciato tra noi, il suo letto nel nostro. Inchiodarmi a questa croce, il mio sangue a mostrare la via da percorrere alla nostra famiglia. Ho vagato tra le membra continuando a fallire, abbandonato fino a trovare il mio giaciglio nel tuo. Adesso che ne sarà di noi ? Colmo di disperazione urlo forte il mio dolore, la voce al fallimento, penso di mangiare il tuo cuore vomitando sui cadaveri delle nostre vite martoriate. Penso a tutti quelli che si sono arresi ad un dolore troppo grande e troppo potente e provo ancora a non dargliela vinta, a non diventarne parte.
L' agonia, l'immagine fissa della nostra vita insieme, come una foto del secolo scorso sbiadita e maltrattata, lacerata, sotto il peso del tempo e delle montagne insormontabili. I nostri sguardi senza sorrisi diretti alla macchina da presa, seguo la linea delle tue labbra, troppo fissa e forzata per essere chiamato sorriso. In piedi, davanti alla nostra casa, con il vento che ti alza il vestito e che sposta i capelli quasi a volerti coprire il viso. Nascondere la vergogna, della nostra realtà vergognosa, relazioni, di colpo deformi. Ti lascio. Ti abbandono. Non creo mostri, esseri nati per soffrire. In questa stanza è nato il nostro amore, in questa stanza ora finisce.
Mi guardi ma è finita.
Ti inginocchi ma ti lascio.
Me lo prendi in bocca, ma ti abbandono. E' un tormento ogni tua carezza, frusta la tua lingua lungo il mio sesso, brucia, graffia. Mi fai del male e nel mio orgasmo, lo sputo che da amore va a disprezzare la tua infamia. Guardo afflitto il mio seme colare sul tuo viso, mentre mi guardi soddisfatta, credendo di aver vinto, ancora una volta. Non ti accorgi che è come se ti avessi sputata.
Non te ne rendi conto, sotto ai tuoi sorrisi compiaciuti da troia navigata, ancora fingi quel tuo pudore posticcio, evochi spasmi irreali, come quelli che sentivi anni fa, fingi il desiderio che provavi, ma ora so che tutto era per un altro, che tutto era per altri.
Girandomi ti rifiuto, anche io ti ho solo usata adesso. Ti lascio in ginocchio e te ne accorgi, getto via il tuo cuore non più prezioso e te ne rendi conto, con il viso imbrattato da palle svuotate, lo capisci. Questo ultimo tentativo di tenermi stretta a te, mi ha permesso di usarti, come tutti gli altri. Per una volta, senza amore. La porta che si richiude lentamente alle mie spalle, è il sipario calato su di noi, mi avvio verso il mio nuovo futuro incerto, senza te.
Eppure amore eri, avessi un altro cuore, lo immolerei ancora a te.



Anthony Weird