sabato 23 ottobre 2021

Cradle Of Filth - Existence Is Futile - Recensione Album #32


Dopo il controverso e discusso “Cryptoriana - The Seductiveness of Decay”, tornano i Cradle of Filth, la storica band capeggiata da Dani Filth, che tanto divide e fa discutere gli appassionati, ma che, tuttavia, volenti o nolenti, bisogna ammettere che ha fatto la storia ed ispirato milioni di artisti nel corso degli anni. “Existence Is Futile” è il nuovo lavoro in studio che si presenta già in pompa magna, con una copertina eccezionale, ispirata a “Il giardino delle delizie terrene” di Bosh. Dodici brani più un paio di bonus, per un totale di circa 54 minuti di musica, che rendono questo album praticamente un monolito nella carriera degli inglesi.

“The Fate Of The World On Our Shoulders” apre le danze, una intro sinfonica che ci prepara a quello che sta per succedere. Inquietudine subdola e strisciante ma che tuttavia non cela la sua presenza e mette subito in chiaro l’atmosfera che ci avvolgerà a breve, come quando appena scatta “Existential Terror” e veniamo immediatamente avvolti da cori e melodie per poi sfociare nella voce malefica di Dani Filth. Vengo immediatamente assalito da un senso di oscurità e depressione, una malinconia mista al classico ardore scatenato a cui i Cradle ci hanno sempre abituati, ma che in questo caso risulta smorzato. “Necromantic Fantasies” ci ricorda che sono pur sempre i Cradle of Filth e che quindi qui la perversione e la malattia non mancano. Infatti il singolo estratto da “Existence Is Futile”, è un pieno manifesto della sonorità dell’intero album, ma non solo, dell’intera storia della band. Numerosi sono i richiami ai lavori precedenti infatti, da “Her ghost in the fog” a “Midian”, la band non tralascia minimamente i suoi trascorsi e omaggia la sua stessa storia, arricchendola dello stato d’animo del 2021, dove non sono certo mancati i motivi di ansia e depressione! “Crawling King Chaos” invece, parte in pieno stile black metal svedese, arricchito (?) da sinfonie e vocalizzi femminili, che accompagnano, ma non frenano, la corsa in palm mute di tutto il brano. Meravigliosi blast beat deliziano la tromba di Eustachio insieme alla parti più squisitamente sinfoniche che fanno da accattivante e monumentale ritornello. “Here Comes A Candle… (Infernal Lullaby)” è un interludio che separa la prima parte dell’album. Lievi e calde note di pianoforte e altri strumenti classici, per una pausa forse un po’ precoce, ma gradita. La calma viene spazzata via in un lampo con la furiosa intro di “Black Smoke Curling From The Lips Of War”, forse il brano più classico dell’album, che rende fede a ciò a cui la band ci ha abituato. Un feroce dialogo a due voci che alterna lo scream acido alla soave (ma cattiva!) voce femminile che accompagna, alterna e spesso colora l’intero brano. Notevole è il lavoro delle chitarre in questa sezione, ma come in tutto l’album a dire il vero). Assoli melodici e fraseggi spettacolari per “Discourse Between A Man And His Soul”. Un pezzo che rasenta la ballad e fa della melodia oscura il suo punto di forza. Non mancano le sfuriate e la violenza, ma è l’introspezione che regna. Ancora una conferma per questo lavoro che si discosta e se vogliamo, evolve l’impronta dei Cradle of Filth, senza tradire il loro stile e ciò che i fan amano, ma che aggiunge quel tocco di malinconia ad uno stile caotico e pieno di rabbia furiosa. La voce femminile, fredda e solenne, ci accoglie in “The Dying Of The Embers”, atmosferico brano incredibilmente evocativo, che forse lascerà un attimo increduli davanti ad un lavoro così simile eppure così rinnovato, nella scrittura, negli elementi e nello stile, tanto da sembrare (e magari lo è) una nuova era per la band, una evoluzione totale che porta una grande consapevolezza che, abbinata ad una maestria che poche band riescono ad eguagliare, non può fare altro che sfornare un album che a mio avviso è già un piccolo, grande cult. “Ashen Mortality” è il secondo, fatato intermezzo, che trasuda fantasy da tutti i pori e che ci rilassa per poco più di un minuto, prima dell’incredibile “How Many Tears To Nurture A Rose?” che è il pezzo più convincente e che più mi ha entusiasmato fino ad ora. Un riff coinvolgente, che fa venire voglia di pogare, di sbattere la testa e che anche chiudendo gli occhi, trasmette sensazioni introspettive, perfettamente amalgamate alla violenza di un vero frullatore da mosh, potente, evocativo, in una parola: splendido! Proseguiamo con “Suffer Our Dominion”, in cui la voce narrante, è quella di “Doug Bradley”, ovvero l’attore che interpreta “Pinhead”, nella serie horror “Hellriser”, che ha dato il suo particolare contributo a questo album, arricchendolo di questa chicca interessante per gli appassionati. Ma “Suffer Our Dominion” non è solo questo. Si tratta di un brano assolutamente fantastico, un capolavoro di chitarra metal in cui ancora una volta la band mette i puntini sulle i e non si lascia intimorire dalle possibili male lingue e sforna pezzi enormi uno dietro l’altro, come “Us, Dark, Invincible”, in cui il riff è arricchito da violini che prendono il sopravvento e diventano parte integrante di tutto il comparto lead. Un brano che gira su un blanding morbido e costante, che ci accompagna anche nei rallentamenti e nell’outro e che trasuda inquietudine, soprattutto nel momento in un cui un tappeto di synth si unisce al pianoforte e il tutto si spegne, per lasciare spazio all’intro ambientale della prima traccia bonus, la sinfonica “Sisters Of The Mist”, che è inoltre il pezzo più lungo dell’intero album. Una canzone veloce, fatta di riff brevi e rullante martellante, spesso interrotta da una voce narrante nasale e distonica, di cui i Cradle hanno spesso abusato nei loro lavori precedenti, infatti, “Sisters Of The Mist”, tanto deve al già sopracitato “Midian”. Notevole è poi la cerimonia fatti di archi, fiati e altri strumenti orchestrali sul finali, che si innalzano e sfociano in un assolo da brividi. Davvero la band ha dato più volte prova di essersi superata con questo lavoro, ogni brano è ispirato e ben strutturato, ben scritto, con una produzione ottima (forse fin troppo) e nessun dettaglio è stata tralasciato, così come nell’ultimo pezzo che conclude questo lungo viaggio in “Existence Is Futile”, ovvero la seconda traccia bonus “Unleash The Hellion” che, se vogliamo, rende ancora più complesso un album maturo, forte, coraggioso e stupendo. Se di primo acchito i fan di vecchia data potrebbero restare spiazzati, con il proseguimento dell’ascolto invece, resteranno sicuramente affascinati e appagati da questo lavoro che è assolutamente un grandissimo album, destinato a far parlare ancora per molto tempo gli amanti del metal. I Cradle of Filth, dopo un paio di lavori leggermente sottotono, hanno ritrovato una rinata linfa vitale, aggiungendo un’altra incredibile arma al proprio arsenale, l’ennesima prova per una band che ormai non ha più nulla da dimostrare ma che anzi, è già da un paio di decenni, tra quelli che dettano le regole di come si fa del buon metal. Se avete da ridire anche su “Existence Is Futile”, allora dovete davvero spiegarmi cosa cercate nel panorama black estremo.

Antony