mercoledì 15 ottobre 2014

Comatus - Racconto (1)

Comatus è il primo racconto che postiamo nella Stanza B- 151.
Nato interamente dal cervello del nostro collaboratore Marco "Artic" Spera, è un viaggio all' inferno, l' incubo senza fine di un uomo che si trova a dover fronteggiare, ciò che non potrà mai vincere.
Buona lettura !



Comatus.
Giorno 1.
Buio.
Tanto buio.
Un lungo, lento, angoscioso sonno perpetuo.
Dov'era la Morte ? Dove ella indugiava ? Quale raccapricciante destino aveva dettato quel forzato sonno, non dolce, ma amaro come il veleno.
Una luce.
Era un tunnel ? Una porta ? Egli camminava lungo un nero e tetro sentiero, ove passo dopo passo i contorni sembravano stringersi attorno a quel piccolo barlume di speranza, li dove ogni speranza era vana, perduta, obliata dall'oscurità.
Correva, quando una spettrale dama gli apparve.
Sangue le sgorgava dai neri occhi e marce erano le sue guance come anche il suo corpo minuto,ed egli conosceva bene quel viso, poiché di sua figlia si trattava.
Un malsano ghigno le deformava le labbra dalle quali fuoriusciva una nerastra lingua che prometteva mille perdizioni.
Fuggì così dinnanzi a tanta depravazione quando egli stesso prese fuoco, ed ardendo nelle fiamme dell'inferno si dimenava implorando la Morte di salvarlo, ma ella non giunse, e godendo del suo dolore ghignava soddisfatta invitata a pascersi del dolore di quell'essere dal diavolo in persona.
Senza preavviso l'atmosfera cambiava da se, tetra era la stanza in cui ora era rinchiuso, inutilmente cercava a forza di pugni e calci di aprirsi un varco nelle spesse pareti che tuttavia sembravano di viva carne, ad un tratto più egli le calciava più loro sgorgavano sangue.
Un sangue fetido, un sangue maledetto, dal lago di sangue che ora gli lambiva i piedi vennero fuori viscidi esseri deformi, per occhi carboni ardenti e per denti schegge d'osso marcio.
Lo prendevano e lo divoravano, grande era lo strazio, quei denti scheggiati e malridotti macellavano con brutalità le carni di colui il quale era intrappolato in quel viscido lago di sangue che nel frattempo stava pian piano solidificandosi in un blocco dal quale non nessuno era mai sfuggito.
E tutto finì.
Le ferite sanate.
E l'orrore ancora vivo nel cuore e nella mente.
Un conato di vomito lo scosse, e sfinito giacque nel buio nella chiazza della sua stessa bile.
Giorno 2.
Tuoni.
Lampi.
Era l'apocalisse, la terra tremava sotto i suoi piedi scalzi, la pioggia batteva fitta ed incessante sul suo capo, a fargli da mantello la sua nuda pelle.
Fumo; chi mai avrebbe mai pensato di vedere del fumo sotto una così rigida intemperia, e dopo pochi istanti di riflessione una risata.
Malefica, profonda, ferina, la risata del Male.
Da quella poté facilmente capire che il dolore sarebbe tornato, più intenso di prima.
Le sue aspettative non vennero deluse, e la pioggia mutò in acido.
L'acido continuò a corrodere tutto ciò che incontrava ed invano egli correva in cerca di un riparo; la sua pelle era piena di ustioni che a mano a mano scavavano profondi solchi nella sua pelle, a tal punto che dopo qualche attimo si trasformo in un ammassi informe di carne con l'unico scopo di volersi salvare, di sopravvivere a tutti i costi.
Ma quando trovò riparo fu troppo tardi, gli mancavano buona parte degli arti superiori che si reggevano a stento su ciò che rimaneva della struttura ossea, la quale aveva ceduto alla maledetta pioggia.
Si lasciò andare, una parvenza di morte lo accolse fra le sue benigne braccia, tuttavia dopo un solo secondo le sue ferite furono di nuovo sanate e stavolta un cane gli venne incontro, intenzionato a spartirsi la sua carcassa che avrebbe giaciuto in maniera docile.
Non poteva opporsi, ed il cane continuò finchè di lui non ne rimasero soltanto le ossa bianche senza traccia di cosa quell'uomo fosse.
Le ossa tornarono a comporsi, la carne fu ricostruita ed egli si trovò di fronte ad immagini mostruose.
Donne che si accoppiavano con animali in putrefazione, uomini che stupravano cadaveri carbonizzati di bambini, viscere sparse in terra, sangue ovunque, strangolati con occhi fuori dalle orbite, ed all'improvviso cominciò a spalancare la bocca ed emettere suoni gutturali sbavando e farfugliando con la lingua di fuori mentre legato ad una sedia piena di chiodi veniva ora costretto ad osservare tali scempi ripetuti all'infinito, quando non ci fu più saliva da tossire iniziò a tossire sangue, vomitò i suoi organi e schiere di gatti malati vennero a cibarsene mentre lui osservava attonito ed agonizzante, stremato fisicamente e mentalmente, annichilito da tanto male.
Per la seconda volta egli morì fra bava e sangue mentre gli orrendi animali si cibavano dei suoi resti.
Giorno 3.
Sto bene si ripeteva, sto bene, sto bene.
Mentiva a se stesso dondolando avanti e indietro in bilico fra ragione e follia, in attimi di lucidità provava orrore, in quelli di follia riusciva solo a camminare, sbavare e balbettare.
Quattro bruti dalla testa di toro apparsi dalle tenebre lo presero e lo condussero in quella che sembrava una nuova cella stavolta fatta di mattoni.
Lo scaraventarono dentro come fosse un pezzo di carne da macello.
Di fuori la cella vedeva cosa accadeva, il macabro panorama era cambiato, notava figure indistinte muoversi nella foschia che velava tutto. 
Non aveva mai visto quel luogo e così domandò ai suoi carcerieri in un disperato tentativo di civiltà e loro risposero con un acuto grido che deformò i loro tratti.
Rabbrividì dal terrore e si ritrasse dalla porta della cella e ad ogni battito di palpebre le sagome di quei volti deformati con occhi vuoti di un nero malsano come la loro bocca tornavano a tormentarlo, nel frattempo quattro energumeni continuarono la loro opera di male conducendo il povero malcapitato in un posto dove migliaia di persone lavoravano senza scopo, senza paga e senza nessun contratto.
Picconi, pale e vanghe erano usate per estrarre massi di carne rancida da una montagna anch'essa di carne.
Ogni picconata sollevava schizzi di sangue fetido che al contatto con la pelle dei dannati lavoratori produceva ferite profonde che all'istante suppuravano in uno spettacolo raccapricciante.
Cercò di scappare.
Scappare era inutile, quel posto era al servizio di un'entità più forte della ragione umana, ne la mente ne il corpo poteva vincere tale malvagità.
La marea di lavoratori deformi per gli schizzi di sangue acido lo sollevarono, e in quell'attimo egli seppe che era la loro vittima sacrificale.
Lo graffiarono beandosi del suo sangue e del suo dolore, lo condussero in una nicchia e lo murarono li in quella montagna di carne abominevole.
Più egli scavava più le sue mani fondevano nell'acido di quelle orride secrezioni, e fu lì che la montagna collassò su se stessa e prima che il mondo gli finisse addosso sentì distintamente due cose : una malvagia risata, ed il suo cuore che esplodeva.
Per la terza volta egli morì, ma come legge di quel luogo il suo corpo necessitava di essere fagocitato.
E tutti i deformi ed orrendi lavoratori furono invitati a quel macabro banchetto che erano le sue carni.
Giorno 4.
Era ora del tutto pazzo, attendeva rannicchiato il prossimo supplizio canticchiando ad intervalli filastrocche di quando era bambino e vecchie ninna nanne.
A tratti si contorceva al ricordo del dolore passato, urlava e si graffiava le carni, che prontamente guarivano permettendogli di ferirsi all'infinito.
Ma dopo poco sentì un odore confortante che gli fece lacrimare gli occhi, quella che sentiva era erba.
Ed era vera si disse perché ora ricopriva tutto il terreno, e sotto il suo sguardo attonito il tetro posto della sua agonia era mutato in un verde paesaggio con alberi, un lago e un chiosco.
Rise come non mai, perché la pazzia era svanita ed il benessere lo invadeva, le sue membra erano di nuovo forti e vigorose e la sua voglia di vivere era grande.
Non gli parve strano anzi, il tutto gli pareva la cosa più naturale del mondo, trovarsi li, dopo tanta sofferenza.
Godeva del contatto dell'erba sotto i piedi e della dolce brezza, e giunto al chiosco di legno una giovane ragazza lo accolse, aveva un che di familiare, tuttavia non vi badò, perché quel giorno la vita era bella.
La ragazza era bionda, con occhi di un azzurro disarmante, seni pieni e prosperosi, un corpo perfetto.
Ebbe voglia di possederla, e come se ella avesse inteso i suoi pensieri si denudò e lo strinse a se sospirando di beatitudine, e quando ella lo baciò il mondo prese a mutare ricadendo nell'inferno.
La giovane si trasformo in una demoniaca imitazione storpia, orba e monca di un braccio, a terminare l'opera tenendolo stretto nel suo orrido bacio gli riversò in gola fiumi di liquido suppurale misto a sangue.
Quella mistura lo corrose dall'interno uccidendolo.
Epilogo
Patì l'ultimo supplizio,l'uomo che tanto aveva sofferto si risvegliò dal coma in un letto di ospedale.
Nelle sue orecchie ancora tuonava la malvagia risata, che presto mutò in un ordine.
Muori.
Ed egli nel buio,non degnando di uno sguardo sua moglie e sua figlia che da giorni vegliavano al suo capezzale, uscì dalla sua camera raccolse una scopa,salì su di una sedia e vi si gettò sopra inghiottendola e morendo impalato.
Due mesi lo raggiunsero sua moglie e sua figlia e tutti e tre si ritrovarono per sempre prigionieri di quella Morte e di quella suprema entità maligna che li torturò sino alla fine del mondo.
                                                                                          Marco "Artic" Spera


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