venerdì 24 febbraio 2017

Nekhen - Entering the Gate of the Western Horizon - Recensione Album #14



A cura di Anthony 

La musica strumentale è un qualcosa che divide. Croce e delizia dei musicisti, è comunque un qualcosa che spesso resta fine a se stesso, capace di donare immense emozioni, come di
restare assolutamente solo a chi la compone. Non è certo il questo il caso di Nekhen, questa one man band del nord Italia, che ci propone questo suo concept strumentale "Entering the gate
of western horizon". Tutto si basa sull' antico Egitto e sulle melodie che richiamano quel mondo sabbioso ed affascinante. Già dalla primissima “Waters of Ra” si intuisce che qui si fa sul serio. Sottofondo noise assolutamente controllato, che sostiene una chitarra acustica calda, sensuale, che entra nelle ossa, proprio come quella sabbia che si intrufola dappertutto, chiudendo gli occhi pare quasi di poter sentire il calore del deserto, l' odore delle giornate asfissianti, eppure accoglienti e morbide. “Baw of the Duat”, ci porta su una base black-drone, all' interno delle piramidi, una canzone oscura, claustrofobica, che sfocia verso il finale, quando si lega indissolubilmente a “Water of the unique master which brings forth offerings”, e qui la base più metallica e rumorosa prende il sopravvento, sperando riffing implacabili come lo scorrere del Nilo, la passione di questo artista è palpabile, è violenta e l' unicità di ogni pezzo, si mescola e si coagula con quella degli altri, dodici brani che in rapida successione, non sono altro che un unico, grandioso organismo diviso in questa sabbiosa dozzina ! “With loving Forms”, spicca sul finale che pare essere un pezzo a se stante, ma immediatamente dopo, ci rendiamo conto che “West” al numero cinque, non poteva che essere il giusto proseguimento di quel brano. Ritmo cadenzato, basso distorto e statico di sottofondo, donano una atmosfera cupa e drammatica, come se ci fossimo perduti in questa piramide piena di misteri, trappole, che non porti a nulla di buono. Cosa ci attenderà dietro l' angolo ? Forse potrà rivelarcelo “The depths waterhole of those of the duat”, un altro punto di questo lungo serpente lento ma inesorabile. Giungo quindi a “Mysterious Cavern” al numero sette, una corsa nei meandri bui tra sludge e doom con i classici statici tipici del drone metal. Se è vero che le atmosfere sono assolutamente indovinate e ben si confa al tema prefissato, è anche vero che spesso l' album è molto auto-citazionista, si ripete e ripropone formule già usate nei brani precedenti, aggiungendo poi pizzichi e spruzzate di originalità come “With deep water and high banks”, dove l' atmosfera diventa più dinamica e la drammaticità si tramuta in “azione”. Mi saltano quindi in mente le corse di Indiana Jones o l' immancabile mummia resuscitata, ma, mi rendo conto che queste immagini possono sminuire le sensazioni che un lavoro di buono spessore come questo, ha da regalarci.
"Mouth of the cavern which examines the corpses" e "With emerging darkness and appearing births", rispettivamente alla posizione numero undici e alla dodici, chiudono il cerchio e sento man mano il buio diradarsi e il sole del deserto, che torna a brillare. In conclusione, si tratta di un lavoro molto particolare, che non soffre né della mancanza di un vocalist, né della banalità in cui spesso si inciampa con prodotti di questo tipo, scordatevi la potenza devastante dei Nile, qui ci troviamo di fronte ad un' opera che vuole fare dell' atmosfera la sua forza e ci riesce già dalle prime note. Per gli amanti di Mono e del Post-Black Metal, Atmosferic Black Metal, Drone, Doom e per chi ama la musica metal strumentale di questo tipo.  

Voto
7,5/ 10

Anthony

Band : Nekhen

Line up : Seth Peribsen (Tutti gli Strumenti)

Genere : Atmosferic Post-Black Metal/ Drone/ Doom 

Paese : Italia

Città : -

Discografia : Entering the Gate of the Western Horizon (Full- Lenght 2015)

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giovedì 23 febbraio 2017

Scuorn - Orgoglio Campano ! - Intervista #3



A cura di Anthony


Gli Scuorn sono una realtà ben consolidata ormai, un nome di rilievo della scena underground italiana, non solo campana. Un esempio palese e lampante di come il metal estremo trovi terreno fertile anche nel caldo sud e che non sempre ha bisogno delle gelide lande del nord Europa. Giulian, cantante e unico membro fisso della band, ci racconta il loro lavoro.

1- Innanzitutto salve Giulian e benvenuto, è bello vedere una band nostrana di tale spessore ! Parlaci di Scuorn. Come e quando è nato questo progetto?

Giulian : Scuorn nasce nel 2008 con l'intenzione di essere il primo ed unico progetto black metal cantato interamente in dialetto napoletano che prevedesse l'utilizzo di tutti gli strumenti folkloristici tradizionali partenopei.

2- Parlateci del vostro nome, da cosa deriva "Scuorn" ?

Scuorn in napoletano significa "vergogna". 
Spesso le persone si vergognano delle propria città o delle proprie origini. Accade anche a molti napoletani, sopratutto quando ci si trova in altre regioni d'Italia o all'estero. Al contrario, la nostra cultura e la nostra storia sono qualcosa di meraviglioso, apprezzate in tutto il mondo e devono tornare ad essere motivo di vanto per tutti noi partenopei.
     
3- "Parthenope" è il titolo del vostro album, cosa dobbiamo aspettarci ? Si tratta di un concept ?

Si, "Parthenope" è un concept album incentrato sull'era greco-romano della nascita di Napoli, nel quale ogni brano rappresenta una specifica leggenda appartenente a questo periodo storico. Interamente cantato in Napoletano, l'album è caratterizzato da un epic black metal arricchito dalla presenza di orchestrazioni sontuose ed apocalittiche, ad opera del maestro Riccardo Studer (Stormlord), l'utilizzo di stumenti folk tradizionali partenopei come il mandolino, la tammora, il tricchebballacche, lo scetavajasse, il putipù ed altri, e la presenza di diversi guest, ciascuno dei quali ha interpretato un diverso personaggio del concept con delle parti narrate. Troviamo Daniele "Ogre" Crisitano nel ruolo di Publius Vergilio Maro, Marco "Wolf" Lauro nelle vesti di Dragonizio, Tina Gagliotta in quelle della sirena Parthenope, Diego Laino che ha interpretato Ulisse, e Libero Verardi nel ruolo di Polite. La produzione è stata opera del grande Stefano "Saul" Morabito, che ha registrato mixato e masterizzato l'album ai famosi 16th Cellar Studio (Fleshgod Apocalypse, Hour Of Penance) di Roma.

4- Molte band che suonano metal estremo, si rifanno a leggende e tradizioni del nord Europa, per le atmosfere dei loro testi, voi invece siete fedeli alla vostra cultura campana, è un modo per restare fedeli al Black metal, che vuole che si onorino le proprie tradizioni (di qualsiasi posto siano) o è un modo per non allontanarsi dal territorio e restare comunque legati ad una certa scena partenopea, appunto ?

La scelta è ben precisa e volutamente marcata. Nel mio caso, reputo innaturale parlare di tradizioni e culture diverse dalla mia. 
A Napoli nessuno ha voluto farlo in modo cosi deciso e dichiarato prima di me e del progetto Scuorn, ma spero che le cose cambino nel futuro.

5- Come nasce la scelta di accostare strumenti classici nel Black Metal ?

E' stata una scelta naturale. La canzone classica napoletana prevede spesso l'utilizzo dell'orchestra, che possiamo trovare anche in diversi progetti symphonic black metal, mentre quella popolare vede l'impiego massiccio di strumenti tradizionali locali, ampiamente utilizzi anche nel folk black metal. Inoltre, basta pensare al mandolino, strumento principe della cultura partenopea, la cui tipica plettrata anticipa di diversi secoli l'utilizzo della tecnica chitarristica del "tremolo picking" così diffusa nel black metal. Da qui nasce la definizione di Parthenopean Epic Black Metal.

6- Quali sono le band a cui vi ispirate ?

La proposta musicale di Scuorn vuole essere unica e distintiva, difficile da paragonare a qualunque altra. 
Ovviamente è normale per tutte le band avere delle influenze, nel mio caso traggo la maggior ispirazione dalla canzone napoletana classica e dalla musica popolare locale.

7- La band esiste dal 2008, com' è cambiata la scena metal campana in questi anni ?

Di gruppi storici della scena ancora in piedi ce ne sono pochissimi, ma al tempo stesso nuove proposte di valore stanno emergendo, basti pensare a band come Pàrodos e Disturbia. La partecipazione e la qualità degli eventi sta migliorando rispetto a qualche tempo fa. La risposta avuta al Cult of Parthenope Black Metal Fest 2016 (primo sold out di un evento metal a Napoli), svoltosi a Novembre con Negura Bunget e Scuorn, che mi ha visto nella duplice veste di organizzatore e musicista in due delle band in scaletta, fa ben sperare. Segno che la scena campana esiste ed è viva, va soltanto incentivata e stimolata con le giuste proposte.

8- Ma...sbaglio o quella che indossi è una maschera da Pulcinella ? Parlaci di questa scelta !

Si, è una maschera di Pulcinella in versione "Petito", una delle figure più importanti del teatro napoletano dell'Ottocento. Realizzata in cuoio e a mano su misura per me dall'artista napoletano Pasquale Di Sarno. La scelta ricade sull'importante significato iconografico che la maschera ha nella cultura partenopea. Rappresenta l'amalgama e la sovrapposizione di culti e significati antichi, nati dalle diverse culture che si sono succedute nella città, e trasmesse al popolo partenopeo nel corso dei secoli. Esprime l’anima popolare di Napoli, incarna la plebe cittadina, ma indossarla è anche l'occasione per dire cose non dovute. Non è la persona che parla, ma il personaggio, il soprannaturale che prende il sopravvento. Quale miglior modo per decantare i misteri delle terre napoletane ...

9- I vostri testi, parlano di un tema in particolare ? Quali sono le tematiche di cui vi piace parlare ?

I testi di Scuorn narrano di leggende, cultura e folklore partenopeo, nell'intento di voler ripercorrere la storia di Napoli dalla sua nascita ai giorni d'oggi.
Tendenzialmente, ogni album è stato e sarà incentrato su di uno specifico concept relativo ad un determinato periodo storico.

10- Una domanda che faccio sempre è, con chi vorreste condividere il palco ?

Le band con le quli mi piacerebbe suonare sono tante, su tutte direi Dimmu Borgir, Septicflesh, Fleshgod Apocalypse e naturalmente Inchiuvatu.

11- Dal 2008 ad oggi, solo un Demo e un singolo prima di Parthenope, come mai non ci sono stati altri lavori in studio ?

Il progetto ha avuto una prima fase a due membri dal 2008 al 2010, durante la quale è stata registrata la prima demo "Fra Ciel' e Terr'" (2008), e seppur con mezzi molto scarsi e bassa qualità di produzione sono state gettate le prime basi a livello di sound e concept. Dopo alcuni anni in cui la band è stata messa in stand-by, nell'Agosto del 2014 ho deciso di riprendere il progetto al 100% stavolta con una veste più professionale e come one-man band, iniziando il songwriting di "Parthenope". Un processo molto lungo e dispendioso, che finalmente culminerà con la release dell'album il 25 Febbraio 2017 per l'etichetta Dusktone (Opera IX, Svalterder, Kvalgaar).

12- Ringraziandovi per il tempo concessoci, lascio a voi la chiusura

Grazie a voi. Vi ricordo che "Parthenope" è già disponibile in PRE-ORDER sugli store ufficiali Scuorn e Dusktone in diversi formati, e che nel mese di Marzo partirà il "Parthenope Italian Tour 2017" con 5 date tra nord,centro e sud Italia a supporto del nuovo album. Worship the Cult of Parthenope !!!


Anthony

Band : Scuorn

Line up : Giulian - Vocals, All Instruments & Orchestral Arrangements

Genere : Parthenopean Epic Black Metal

Paese : Italia

Città : Napoli

Discografia :

Fra ciel' e terr' Demo 2008
Fra ciel' e terr' Single 2016
Parthenope   Full-length 2017


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mercoledì 15 febbraio 2017

Epica - The Holographic Principle - Recensione Album #13


E concludiamo il nostro excursus dedicato agli Epica, con la recensione del nuovo album "The Holographic Principle", che non poteva certo mancare. Anche questa la trovate sulle pagine di All Around Metal, scritta ovviamente dal sottoscritto. Sperando che sia cosa gradita, vi lascio alla recensione di una delle band che più amo, nel panorama metal mondiale

A cura di Anthony



E ci siamo finalmente ! Sono mesi e mesi che aspettavo questo album e devo dire che l' ho sviscerato nota per nota. Io non sono un fan di questo genere, ma gli Epica sono sempre stati l'eccezione per me, niente Nightwish, niente Within Temptation, niente Lacuna Coil, niente Delain... ho sempre amato solo e soltanto gli Epica, ed ancora oggi che mi nutro quasi totalmente di Black Metal, gli Epica restano una delle mia band preferite. Potete quindi ben capire il mio entusiasmo nel recensire il nuovissimo album della band olandese “The Holographic Principle”, in arrivo il 30 settembre per Nuclear Blast.
Quindi, senza tanti indugi, premiamo “Play” e vediamo cos' hanno in serbo per noi.
Come tutti i loro album precedenti, anche questo si apre con una intro, cioè “Eidola”, una tensione crescente “sporcata” delle note di un carillon in sottofondo, i suoni mi ricordano una battaglia, qualcosa di epico.... di pericoloso, poi ecco che tutto si calma, i cori eterei, tipici della band entrano in gioco, prima di una inquietantissima, quanto splendida voce di bambina impegnata nella sua cantilena e la tensione iniziale torna a farsi sentire facendo da supporto ai cori. Una intro oscura e carica di dramma, che cozza con il secondo brano di più ampio respiro “Edge of the Blade”, secondo singolo estratto da questo “The Holographic Principle”, dove il sussurro della meravigliosa Simone Simons, fa da apripista ad un riff molto “easy” con cori pomposi fin dall' intro. Una strofa retta da un palm muting molto particolare, non nello stile della band, infatti ci troviamo di fronte ad un brano più sbarazzino, dove il ritornello è molto accattivante con Simone che raggiunge picchi molto alti di acuto e il grunt di Mark Jansen in back vocals, e devo dire una struttura molto classica, che però riesce ad prendere soprattutto nella parte totalmente dedicata al chitarrista, dove finalmente una vera cattiveria di lascia assaporare. Mi godo gli ultimi momenti di un pezzo che mi fa strano trovare in apertura, ma che di sicuro riesce a coinvolgere già dalle prime note.
Incastonata al numero tre, ma secondo vero pezzo è “A Phantasmic Parade”, con il riffing misto di chitarra e saltellamenti sui tasti delle Keyboards, e dopo pochi secondi, la voce della rossa rubacuori, entra in un' atmosfera che richiama vagamente il medio-oriente, dove si sente il calore del deserto e le danzatrici del ventre si muovono sinuose sui tappeti di scale arabe... Anche qui, si sente la differenza con gli Epica che ero abituato a conoscere, nonostante gli elementi ci sono tutti, ma le parti più propriamente “metal” sono molto più presenti, tra palm muting, terzine in stile Iron Maiden, growl e blast beat, si troviamo ad un nuovo step per gli olandesi, un livello superiore, dove poco importa se la struttura è simile alla precedente, cioè, la classica struttura pop/rock, con l'aggiunta di una fase in grunt, si tratta comunque di un ottimo esempio si Synphonic Metal, come Cristo comanda. “Universal Death Squad” è il primo singolo estratto e parte con una elegante intro di violini e tastiere, per poi sfociare in una cattiveria che mai si sarei aspettato di trovare in un album degli Epica. Un pezzo assolutamente Groove, estremamente ritmico, dove le melodie più accessibili, sono totalmente oscurate da una ritmica imponente e per niente banale che alterna momenti Death Metal ad altri fatti dalle voci dei cori, che fanno da scorta alle lead vocals. E qui si sente la reale attitudine degli Epica, facendomi pensare che i pezzi di prima servivano per preparare il terreno ad un brano del genere, lontano anni luce da melodie che strizzano l' occhio per farsi amare, ma un brano che non trova compromessi, senza snaturare lo stile della band ma, anzi, arricchendolo notevolmente. E taccio, godendomi l' assolo di Isaac Delahaye e il pezzo scivola via lungo il finale...
I suoi di una sparatoria aprono la strada in modo molto inquietante, parte così “Divide and Conquer” con il suo riff estremamente melodico di tastiera, che ci coccola le orecchie fino a quando non sono i cori a squarciare la melodia portandosi dietro le chitarre ritmiche e profonde, un elefante durante una processsione. La voce sensuale ed ammaliante di Simone, si alterna alla furia controllata di Mark, un pezzo chirurgico, capace di tagliare come un bisturi eppure così violento allo stesso tempo. Il cambio di fase qui è molto più vario, la componente progressive inizia a farsi sentire e mi viene da pensare che parta da qui la vera anima di “The Holographic Principle”. L'intermezzo campionato, è un ottimo stacco per farci riprendere il respiro, prima di un ritornello contornato da sensazioni progressive che lentamente ci accompagna al finale. Che dire ? Assolutamente fantastico, quindi corro ad ascoltare il prossimo brano, al numero sei, cioè “Beyond the Matrix”, pezzo che ci fa entrare nella seconda parte del disco, estremamente più seria, più filosofica, dove riscopro il vero lato di questa favolosa band, che però, è stato totalmente rimesso a nuovo ! “Beyond the Matrix” parte con un' accelerazione in lirico dei cori orchestrali, senza altra musica se non un contorno di percussioni, il giro torna e questa volta la canzone entra nel vivo, con una lunga intro corale, che poi lascia lo spazio alle lead vocals, e noto un grande uso del basso in questa fase, con le sue note metalliche che si alternano ai riff delle sei corde. A fare le veci del ritornello abbiamo la parte iniziale dove regnano le sinfonie pompose e le voci del coro, per poi ripetere la formula in un crescendo di sensazioni e dinamicità. Il bridge poi, è qualcosa di magico, dove pare che Simone ti parli direttamente, dove la tua voce è tangibile e chiudendo gli occhi, pare di poterla toccare... un attimo prima di essere scossi e portati alla realtà da un growl violento che si muove su fraseggi ed obbligati, che sfociano, finalmente in un assolo meraviglioso, che riscalda il sangue nelle vene. Veramente qualcosa di splendido e totalmente “In your Face” !
“Once upon a Nightmare”, calma il tutto, qui si respira sentimento e tristezza, forse ammirazione per un brano toccante e delicato, che tratta di un argomento spinoso e che merita il massimo rispetto, non voglio soffermarmi oltre su questo aspetto del pezzo, ma sappiate che tanto sentimentalismo, è giustificato. Sentimenti che prendono forma in melodie orchestrali e scale pregne di tensione. Ma la dolce voce della singer più desiderata del metal, riesce a tranquillizzare gli animi e mi lascio trasportare in questo viaggio onirico. Un pezzo assolutamente dolce che farà grande l' atmosfera dove le sue note di erigeranno da ora in poi. C'è dolcezza, c'è rassegnazione, c'è rabbia, il rifiuto di una condizione che è imbattibile. Come vedete mi soffermo poco sulla tecnica e la composizione di “Once upon a Nightmare”, perché qui è l' arte che regna e l' arte è fatta di sensazioni ed emozioni, che rischiano quasi di esplodere nel finale, che è un capolavoro, da ascoltare !
“The Cosmic Algorithm” spazza via i sentimentalismi e si torna a martellare ! Le distorsioni profonde, condite di Blast Beat chirurgici riportano il metal dei nostri a grandi livelli, anche di potenza, senza però mai snaturarsi e rinunciare alla componente melodica che li ha resi famosi. Un pezzo veloce su cui è impossibile trattenere headbanging, perfetto per la sede live, con una orchestrale perfetta e riff da mosh. Se devo trovare una nota negativa, è la presenza del ritornello un po' troppo ostentata, ma la doppia cassa sul finale, si fa perdonare questo ed altro. Proseguo arrivando al numero nove per “Ascension - Dream State Armageddon”, base cupa e semples “fatati” mi fanno balenare in mente la scena di “In Heaven” di “Eraserhead” di David Lynch, soprattutto quando Simone esordisce con le stesse parole... immediatamente però il growl torna a farmi sentire scosso e la visione onirica svanisce sotto la potenza di questo pezzo, pregno di Blast Beat, un brano che a parte le orchestrazioni, è totalmente Death Metal e si sente. La velocità si mantiene su tempi ragionevoli, ma la forza sprigionata appartiene a ben altri generi, e gli Epica questo lo sanno, dimostrando che che si possa fare metal estremo anche senza rinunciare alla melodia e con una dea alla voce... Il finale è direttamente collegato a “Dancing in a Hurricane”, brano seguente, infatti se non fosse stato per il cambio di numero sul lettore, non mi sarei accorto dello step. Un battito di percussioni e tornano le atmosfere tipiche del medio-oriente tanto care agli Epica. Il suono di un sitar, o uno strumento simile, aprono le danze. La voce segue una melodia creata da violini ed archi, in una strofa lunga e dinamica, nonostante non si tratti un pezzo molto ritmico come i precedenti. Tranne che nelle fasi di grunt, è comunque un brano molto melodico e orchestrale che trae la sua forza proprio da questo e dalle lead vocals che in primo piano, spadroneggiano sulla composizione.
Arrivo quindi alla penultima tappa di questo viaggio nell' universo con “Tear Down Your Walls” ed il suo balletto sulla tastiera, violini spazzati via di colpo dal riffing grezzo e selvaggio, che si trasforma in un pre-chourus che accoglie la strofa in growl, qui è palese l' intenzione di creare un brano più articolato e complicato, anche lasciando da parte le fasi più progressive, è infatti un brano molto “In your face”, un continuo alternarsi di fasi melodiche ad altre più cattive, ma sempre sprigionando potenza enorme, senza mai un calo di tono. E così, alla fine, mi attende l' ultima tappa, la dodicesima traccia “The Holographic Principle - A Profound Understanding of Reality”, pezzo molto lungo di oltre undici minuti e mezzo, in linea col trademark della band, infatti in ogni loro lavoro, ci sono pezzi di una lunga durata. E qui la vena progressiva è chiara e palese, i cori iniziali sanno tanto di canto gregoriano, creando intrecci e melodie vocali accattivanti e splendide, per poi lasciare spazio alle note di tastiera, che tenui e senza fretta si innalzano in un crescendo poetico e di grane impatto. L' intreccio di voci maschili e femminili poi, è qualcosa di assolutamente grandioso... è un orgasmo uditivo, mai sentita tanta enfasi e tanta calma tutta insieme, contornata da un assolo corto ma che è un ottimo apripista per la prima strofa in growl, in una alternanza eterea con la voce femminile elegante e raffinata e qui mi rendo conto di trovarmi di fronte ad una delle più belle canzoni degli Epica di sempre ! Davvero un pazzo magico e magnifico che fa sognare e tiene alta la tensione per tutta la durata scorrendo via liscio come l' olio, ed infatti gli oltre undici minuti sembrano in realtà meno della metà. Il ritornello è spettacolare, un brano eccelso da ogni punto di vista e trovo persino elementi che mi ricordano la colonna sonora de “La Terza Madre” di Dario Argento decorata da un ricamo di doppia cassa da mera e pura meraviglia uditiva. Il tutto poi, trova il modo di lasciare la sua impronta nella scia del finale, come un pennello che sta perdendo il colore e lascia residui di arte sulla tela creata da questi maestri non solo di metal, ma di musica stessa. Una composizione che è destinata a diventare una pietra miliare non solo tra gli appassionati del genere ed i fan della band, ma di chiunque ami la buona musica, non solo in ambito metal.
In ultima analisi, si tratta di un album che porta gli Epica ad un livello superiore, un lavoro che ha bisogno di più di un ascolto per essere amato dai fan della band, che lascia spiazzati e sorpresi, ma che dopo l' impatto iniziale particolare, si lascia assaporare ed amare nota per nota, un' astronave onirica, che ci accompagna in questo viaggio spaziale, un trip infinito, lungo l' universo. Consigliato non solo a chi ama il genere, ma praticamente a chiunque.

Voto
9 – 10

Anthony
Line Up :
Simone Simons – voce solista
Mark Jansen – chitarra ritmica, voce death
Isaac Delahaye – chitarra solista
Rob van der Loo – basso
Coen Janssen – tastiera
Ariën van Weesenbeek – batteria, voce death

Genere:
Symphonic Metal

Paese :
Olanda

Discografia :
2003 – The Phantom Agony
2005 – Consign to Oblivion
2007 – The Divine Conspiracy
2009 – Design Your Universe
2012 – Requiem for the Indifferent
2014 – The Quantum Enigma
2016 – The Holographic Principle

Contatti :