giovedì 22 dicembre 2016

Fenix Tales - "LCI" Il Lyric Video




I fiorentini Fenix Tales hanno pubblicato il lyric video del brano “LCI”, brano tratto dall’album "The Abyss eye".
Si tratta di un brano melodico, voce, piano e basso, dai tratti struggenti e di oscura inquietudine.
Ovviamente, lo trovate qui di seguito, enjoy ! ;)

Anthony




domenica 18 dicembre 2016

Il Male che c'è - Racconto #10

Il Male che c'è



Anthony Weird

Mi piace guardare quelle linee che si formano sulla pelle dei tuoi fianchi, quando hai freddo. Seguirle con la punta del dito, come se fossero il delta di un fiume fatto di voluttà.
Aprire la mano sulla tua anca, il riversarsi delle acque calde e candide nel mare. Questo mare immenso e calmo. Agrodolce, come la salsedine sulla tua cute liscia. Mi piace la forma che assumono le tue labbra, intorno al mio cazzo.
Vorrei massaggiare il tuo cuore, avvolgerne il battito in una stretta lieve, trasferire il tocco della mia mano in uno stimolo ardente tra le costole. Rumore di unghie sulla lavagna, il mio graffio sul tuo ventricolo destro. Vorrei vedere il mio seme fuoriuscire dai tuoi tagli, crema densa dalla pelle, vorrei vederlo colorarsi e marcire, quando si mescola a quello di chi ti ha fottuto prima di me. Allora stringerei le dita, una presa forte, morsa intorno all' organo della vita, presentarti la miseria direttamente dal mio sguardo, come quando assetata ti abbeveri a me, non più sorrisi, non più dolcezza. Il vomito nel piatto alla nostra tavola, l' ipocrisia nei baci a tua madre, la viltà, oscena e palese, mal celata nei saluti ad estranei, mentre ci scambiamo i germi in contatti fisici desiderabili e raccapriccianti. Mi fa orrore il tuo viso, ma ho bisogno di scoparti; mi fa schifo il tuo corpo, ma ti voglio tra le cosce. Ripenso al tuo rossetto sbavato, al trucco colante mescolato alle lacrime, al sudore, alla saliva, come la peggiore delle puttane ti davi da fare in ginocchio davanti all' unico Cristo che conosci, il Salvatore della tua misera esistenza, che ci dona scampo dalla morte del tuo sesso.
Il tuo, un corpo senza forze dall' anima carica. Riversa sul fianco in questa stanza in riva al mare, nutrendoci della sua aria viva trovi la costanza di alzarti, sorridere agli amici, ai conoscenti. Apri le gambe a tutti i tuoi amori, baci di plastica e gemiti in radio, ma poi non v' è pace sul fondo di quel pozzo. I deliri metropolitani, raccontati ad un bicchiere in cambio di macchie di rosso alle labbra, rosso per le labbra, rosso sulle labbra, di quello finto, per sembrare belle, per apparire serene e felici, con il nero per coprire lo squallore incastonato intorno ai tuoi occhi, perché di colpo non v'è più bellezza in te. Ripenso ai giorni vuoti, seduti a tavola con le televendite a riempire il silenzio pungente, un ago piantato nei timpani, tenero, lieve scintillio di luci metalliche nel grigiore piatto della nostra cucina. Il carnevale sulle guance, sotto il naso che non ama più il tuo profumo come prima.
Prima. Prima quando ? Quando la sincerità non si contava, quando ero ancora abbastanza per te. Un uomo unico e solo da baciare, da abbracciare, con cui scopare ed a cui chiedere di tutto e di più. Ti guardo arrancare sbraitando, ripenso ai pomeriggi spalla e spalla in macchina, senza dire una parola, qualsiasi sibilo poteva squarciare l' aria e la nostra tranquillità. Stringevo il mio cuore tra le unghie, le dita arcuate, come un rapace affamato, non mollavo la presa. Tenevo duro, soffrivo in silenzio, perché tutto si supera, tutto passa, insieme, tutto si risolve; è una fase mi dicevo, è stato un momento di debolezza mi ripetevo, poi tutto tornerà come prima, basta amarsi...basta volersi bene. La nostra famiglia è più importante. Vorrei afferrarti il cuore e strappartelo via dal petto. Armeggiare nel tuo torace, nelle viscere putrefatte, contorcere le budella con le mani, per farti capire cosa si prova. E poi perdonarti, pensare che siamo essere fragili, pregni di solitudine. Guardarti li, nel tuo vestito, con quelle scarpe ed i capelli pietosi, cerchiamo di guarire dal nostro male e poi torniamo ad intossicarci. Suicidio forse ? Per scappare, ritirarsi, dignitoso e definitivo. Non un suono nella nostra casa. Quando ti allontani ed esci per fare la spesa, con il dubbio di se torneai, con la consapevolezza chiara ed orribile di trovare eccitante il tuo essere carne da macello, nel martoriarmi il sesso con le mani, il terrore nel ventre tuo. Sborrare. Vomitare. Piangere e poi aspettarti ancora. Dietro la porta. Messo da parte. Siamo immersi nella nostra stessa violenza. Indelebile, costante, il cadavere del nostro amore violato, come uno zombie immondo ed innaturale, ancora si trascina. Ultimo spasmo questo week-end, nella camera della nostra luna di miele, morire sopra di te, come anni fa. Malati di desiderio, accecati dal bagliore che emanavano i nostri sorrisi uniti. Non brillano più i tuoi denti bianchi, eppur contaminati da altri, insudiciata è stata la tua bocca, la fonte del respiro che mi infiammava il cuore ed il sesso. Il sangue bolliva e le vene pulsavano e sbattevano, al profumo del tuo alito. Allo sfiorare delle tue labbra. Ora puzzi. Un corpo sei, non c'è un' anima da cercare. Nauseabondo l' odore che proviene dai nostri piatti, cibo senza amore, una cottura che non brucia, quel tuo modo di mangiare, amavo il tuo essere composta ed educata. Solo ipocrisia. Ripenso ai nostri abbracci, ai baci rubati quando tuo padre ti controllava, ai sorrisi, alla gioia ed a quell' amore che ci rendeva invincibili, immortali. Non immaginavo che quella fosse l' ultima tenerezza di cui potevi essere capace. L' ultima tenerezza. Mi piaci ancora, con la mano sotto la pelle, accarezzandoti lo stomaco vivere le carni tue, fresche d' estate, calde in inverno. Una stretta violenta, fredda, vorrei divenire ansia, essere il tuo desiderio ed il tuo terrore. Non lasciarmi perché mi temi. Non lasciarci perché mi ami. Farti a pezzi. Tormentarmi per il rimorso per il desiderio. Il rimpianto di non averti inculata per rispetto, occasioni mancate dato che il rispetto è qualcosa che non ti è familiare. Resto qui, seduto nel niente, a fissare il vuoto. Riflesso di ciò che sono diventato, di ciò che insieme ancora saremo.
In vita io piango. Vorrei pensare a te come ad una donna e come tale femmina, pensarti come labbra ardenti, come seni e come cosce, vorrei pensare a te, per i tuoi capelli profumati, per il fiore che porti nel ventre e per le voglie che m' accendono il sangue e la passione. Invece no, penso a te, soltanto perché sei tu. Lacrime cariche di felicità scolata via in questo calderone di miseria. La tua lussuria, così potente, più forte di qualsiasi amore, una voragine infinita da colmare, solitudine che batte, incessante, senza pace, forse anche per questo ti avevo chiesto di restare, anche se ormai scorre un fiume ghiacciato tra noi, il suo letto nel nostro. Inchiodarmi a questa croce, il mio sangue a mostrare la via da percorrere alla nostra famiglia. Ho vagato tra le membra continuando a fallire, abbandonato fino a trovare il mio giaciglio nel tuo. Adesso che ne sarà di noi ? Colmo di disperazione urlo forte il mio dolore, la voce al fallimento, penso di mangiare il tuo cuore vomitando sui cadaveri delle nostre vite martoriate. Penso a tutti quelli che si sono arresi ad un dolore troppo grande e troppo potente e provo ancora a non dargliela vinta, a non diventarne parte.
L' agonia, l'immagine fissa della nostra vita insieme, come una foto del secolo scorso sbiadita e maltrattata, lacerata, sotto il peso del tempo e delle montagne insormontabili. I nostri sguardi senza sorrisi diretti alla macchina da presa, seguo la linea delle tue labbra, troppo fissa e forzata per essere chiamato sorriso. In piedi, davanti alla nostra casa, con il vento che ti alza il vestito e che sposta i capelli quasi a volerti coprire il viso. Nascondere la vergogna, della nostra realtà vergognosa, relazioni, di colpo deformi. Ti lascio. Ti abbandono. Non creo mostri, esseri nati per soffrire. In questa stanza è nato il nostro amore, in questa stanza ora finisce.
Mi guardi ma è finita.
Ti inginocchi ma ti lascio.
Me lo prendi in bocca, ma ti abbandono. E' un tormento ogni tua carezza, frusta la tua lingua lungo il mio sesso, brucia, graffia. Mi fai del male e nel mio orgasmo, lo sputo che da amore va a disprezzare la tua infamia. Guardo afflitto il mio seme colare sul tuo viso, mentre mi guardi soddisfatta, credendo di aver vinto, ancora una volta. Non ti accorgi che è come se ti avessi sputata.
Non te ne rendi conto, sotto ai tuoi sorrisi compiaciuti da troia navigata, ancora fingi quel tuo pudore posticcio, evochi spasmi irreali, come quelli che sentivi anni fa, fingi il desiderio che provavi, ma ora so che tutto era per un altro, che tutto era per altri.
Girandomi ti rifiuto, anche io ti ho solo usata adesso. Ti lascio in ginocchio e te ne accorgi, getto via il tuo cuore non più prezioso e te ne rendi conto, con il viso imbrattato da palle svuotate, lo capisci. Questo ultimo tentativo di tenermi stretta a te, mi ha permesso di usarti, come tutti gli altri. Per una volta, senza amore. La porta che si richiude lentamente alle mie spalle, è il sipario calato su di noi, mi avvio verso il mio nuovo futuro incerto, senza te.
Eppure amore eri, avessi un altro cuore, lo immolerei ancora a te.



Anthony Weird 



venerdì 25 novembre 2016

ROSSOMETILE - Amore nero



Sono molto contento di vedere oggi, per la prima volta, il nuovo videoclip dei Rossometile, "Amore Nero", tratto dal quarto lavoro in studio "Alchemica". Un video assolutamente accattivante con in primo piano l' affascinante Marialisa, singer del gruppo.
Il brano trasmette assolutamente una oscurità intrinseca, facilmente riscontrabile tra le note del quartetto campano. Una melodia permeata di un metal latente che cerca di evadere in tutti i modi e che ti entra nelle ossa, subdolo, come un' ombra tenue ma inesorabile, entra e fa capire che qui si fa sul serio. L' atmosfera Gothic che questa band si porta dietro poi, viene ancora più accentuata in questo brano ed in questo videoclip. Ma se volete saperne di più, vi rimando alla recensione di Alchemica, che trovate su queste pagine.
Ora godiamoci il video e la maestria di questi ragazzi, ricordandoci di supportare sempre, la buona musica, specialmente se italiana !

Anthony

ROSSOMETILE - Amore nero (OFFICIAL VIDEO)






sabato 19 novembre 2016

Possession - Recensione #29


A cura di Anthony

Avevo altri film in coda da guardare e recensire, ma non ce l' ho fatta. Possession di Andrzej Zulawski non ha voluto sentire storie e si è prepotentemente preso questo post e così, va bene, facciamolo contento, del resto, di un capolavoro simile, c'è poco da pretendere : Comanda lui !
Tuttavia, mettere bocca su un film del genere è dura, bastano una, due parole sbagliate e si travisa tutto il senso artistico dell' opera, si rischia di “umiliare” artisti simili, se la potenza espressiva di Possession, non viene recepita e comunicata perfettamente da chi, come me, è abbastanza ardito da farne una recensione o, per meglio dire, analisi.
La trama è abbastanza semplice, un uomo, Mark, crede che sua moglie Anna lo tradisca, finché lei non gli confessa che i suoi sospetti sono giusti. Dopo una prima parte fatta di urla e litigi, lui assumerà una agenzia di investigazioni private perché pedini la donna e scopra l' identità del fantomatico amante. Quello che non sa, è che la realtà supera la fantasia e che la donna lo tradisce con un mostro, che lei stessa ha partorito. Ora, se credete che io vi abbia spoilerato il finale, vi sbagliate di grosso. Zulawski mette in scena come Dio solo sceso in terra farebbe, prende Polanski e lo tira fuori dal palazzo di Rosemary's Baby, si impossessa delle angosce di Carol di Repulsion e le spinge a forza, a piene mani, nello sguardo della bellissima Isabelle Adjani, che faticherà poi per anni, per uscire dal ruolo dell' adultera Anna. Le sue occhiate, le urla e i suoi occhi sono laser che attraversano la dimensione cinematografica, per giungere direttamente faccia a faccia allo spettatore, per parlargli dentro : Sono solo io la fedifraga o lo sei anche tu ? E' facile giudicarmi malamente, ma tu, ti sei fatto un esame di coscienza ? Ti sei preso le tue responsabilità ?
Siamo forse tutti dei traditori ? E' questo il concetto che il regista vuole inculcarci ? Così sembrerebbe, data la ripresa del concetto stesso, nella parte finale del film. Di sicuro non fu un periodo positivo quello delle riprese di questo film per Andrzej Zulawski, che si trovò ad affrontare il divorzio della moglie Malgorzata Braunek, e di sicuro, molte delle ansie, delle frustrazioni personali dell' artista, finirono in questa pellicola. Qui il tradimento viene visto come il male assoluto su cui però, purtroppo, si basa l' amore stesso. Tutte le coppie si tradiscono a vicenda e tutte le coppie campano e si basano su un tradimento costante di entrambi i membri. Conosciamo realmente, in tutte le sue sfaccettature la persona che abbiamo accanto ? Conosciamo realmente ogni singolo angolino nascosto della sua anima ? Non c'è spazio per una visione ottimistica dell'amore, l' amore è solo un fatto fisico, nient' altro, un desiderio sessuale che prende forma nel mostro cronenberghiano, nato dalla stessa Anna, concepito nell' atto stesso del tradimento. L' amore è un accanimento “terapeutico” di un rapporto che una volta sessualmente consumato e sessualmente esausto, è morto e non ha motivo di proseguire, ecco perché si tradisce, perché si ricerca nel terzo, le caratteristiche che ci hanno affascinato della persona amata, ma che ora, è palese, che non amiamo più. Basti pensare ad Helen, la maestra del piccolo Bob, interpretata dalla stessa Isabelle Adjani, ma con dei capelli incantevoli e degli occhi verdi da infarto. Mark trova in Helen, e forse va proprio a cercare, le caratteristiche fisiche che gli piacevano della moglie, ma che, dimenticando l' amore per cui aveva “immolato” la sua libertà (sigillando il loro rapporto con la nascita del figlio Bob), basti ascoltare il discorso che fanno i due, non perde occasione di tradire Anna a sua volta, appena gli si presenta l'occasione, semplicemente perché ritrova in quella donna i tratti fisici che desiderava in sua moglie. E' il sesso al centro di tutto, è il sesso che prende forma e diventa l'incarnazione stessa dell' atto carnale, un essere vagamente umanoide di lovercraftiana memoria, con un busto che non è altro che una vulva gigante e delle escrescenze da tentacoli fallici negli Hentai, così orrendo, osceno ed immondo come il tradimento stesso, da cui egli è nato. Inquadratura chiave è il primo piano della creatura, da cui è possibile notare i suoi occhi verdi, stessi occhi della maestra d' asilo, è forse anche lei la “conseguenza” di un adulterio ? Può essere considerata ancora, quindi, la nascita di un bambino in una coppia, come “un atto d' amore” ? Quale amore ? La risposta non può che essere terribilmente negativa e sembra essere palese, nel momento in cui il concetto viene rafforzato sul finale del film, dove ci viene tolta ogni speranza. Assistiamo impotenti al declino della mente di Anna ed alla decostruzione della religione e del concetto di Dio : L' amore come lo intendiamo non esiste, esiste il sesso, ma se Dio è Amore e l' amore non esiste, allora Dio non esiste? Allora quell' “Amore” tanto chiacchierato, è solo un affannarsi carnalmente di due corpi che cercano Dio, attraverso un mostro che incarna, che rende “tangibile” e “vivo”, l'atto stesso del “fare sesso”, il rapporto carnale nudo e crudo, che diventa orrendo ed immondo, nel momento in cui tradiamo. Un concetto cosmico claustrofobico e senza via di scampo, siamo soli, o lo accettiamo o torniamo da dove siamo venuti, attraverso una finestra che si apre da sola, permettendo quindi all'anima di uscire, quando l' anziana madre di Heinrich, colui con cui Anna aveva tradito Mark, decide di suicidarsi. Il tutto poi, si palesa nella scena del delirio pazzesco ed onirico di Anna, che dopo essere stata in chiesa a chiedere, disperatamente, una risposta dal crocifisso, che non arriverà, si ritrova a dare di matto in metropolitana in una scena che mette i brividi, ed incanta la bravura della Adjani, che ci pietrifica con i suoi occhi di ghiaccio e non ci sono parole per descrivere la potenza di un tale delirio di disperazione, senza nessuna via d' uscita dalla consapevolezza di essere qui, soli, sperduti su un puntino azzurro, in un universo senza luce. Ed ecco che copiose quantità di sangue e sperma, vengono espulse dalle orecchie e dai genitali. Andrzej Zulawski ci porta in questa Berlino tetra e spoglia, nelle metropolitane fredde e bagnate di Christiane F. , dove la malattia, non è fisica e “sporca”, ma il delirio totale, agghiacciante e disperato di una mente che capisce che non c'è via d' uscita, che nasciamo soli, perché i nostri genitori quella notte avevano voglia di scopare, stop, non c' è altro, non siamo stati voluti, non siamo stati cercati, non siamo il sigillo su nessun amore, che vivremo soli, perché per quanto qualcuno ci possa amare, non amerà mai il declino del nostro corpo, cercherà per sempre in altre persone le cose che gli piacevano di me e che ora non ho più, che moriremo da soli, senza nessun Dio, nessuna Grande Luce ad accoglierci, l' unico dio che abbiamo visto, assaggiato, respirato e toccato, vissuto, è il sesso di chi “amavamo” : Chi ama desidera, chi non desidera, non ti ama. Concetto forse palesato nel continuo e spesso fuori luogo e anche disturbante, contatto fisico tra i personaggi, cosa che va in contrasto con l' immaginario comune di tedeschi freddi e distaccati. Loro si toccano, si cercano, anche personaggi dello stesso sesso, provano costantemente ad avere un contatto fisico, forse per sapere se “siamo compatibili" e ci attiriamo fisicamente. Ancora una volta, il mondo non gira intorno all' amore, ma al sesso e non esiste altro, la famiglia si basa sull' ipocrisia e sulla falsa benevolenza, su un continuare a dirsi a vicenda che “tutto va bene, è tutto a posto”, quando sappiamo benissimo che il rapporto va avanti per inerzia. Bob infatti, il bambino, preferirà ben altro, pur di vivere con una famiglia che all' apparenza fa invidia al Mulino Bianco, ma che invece, è falsa come i loro sorrisi. Una scena così forte, che va a chiudere un cerchio amaro, che trova forse il suo apice nel momento in cui Anna, cerca in tutti i modi di liberarsi di questa consapevolezza, sanguinando dalle orecchie e dalla bocca, mentre è già fisicamente sotto terra (è nella metropolitana), ma da cui, l' unico (forse), scampo che abbiamo, è la pazzia, il rifiuto della coscienza, il dimenticarsi di noi stessi, pur di non sapere tutto ciò.
L' estrema capacità registica di Andrzej Zulawski, fanno entrare sotto la pelle questi concetti e questi personaggi, in un' opera pregna di arte, e di Weird, che si maschera da horror e gioca a fare il film mainstream, per arrivare alla grande massa (cosa che poi non è avvenuta per i soliti motivi di censure e decreti restrittivi dei vari giudici), con una fotografia fredda, ma luminosa e gradevolissima, Possession è un film che va oltre, oltre il cinema, oltre lo schermo, che parla faccia a faccia allo spettatore e gli dice “Cosa ridi ? Il tuo partner ti sta tradendo mentre tu guardi il film !”. Weird e videoarte allo stato puro, Cinema con la “C” maiuscola, da guardare, riguardare, scoprire, sviscerare, ma soprattutto amare e mai tradire.


Anthony


giovedì 10 novembre 2016

Elarmir - 4 Seasons of my life !


A cura di Anthony

Aspettavo con impazienza questo nuovo singolo degli Elarmir, nome di un certo spessore nel metal italiano, che man mano si lascia sempre di più dietro quell' alone di underground, per avviarsi verso vette che possano consacrarli tra i grandi nomi internazionali, infatti appena un paio di mesi fa hanno infiammato la Spagna ed ora si preparano ad altri live all' estero, durante questo inverno.
E così, dopo le fatiche di “The Others” (singolo che trovate di seguito), è stato rilasciato il secondo singolo in anteprima “4 Seasons of my life” (anche questo trovate qui di seguito) in collaborazione con Alexey Soloviev, compositore e poeta russo che vanta collaborazioni tra l' altro con band come Amaranthe e Kamelot, che ha curato anche la parte puramente sinfonica del brano. Il pezzo è ispirato alle Quattro Stagioni di Vivaldi, di cui è possibile assaporarne dei pezzi ri-arrangiati in chiave metal con tanto di doppia cassa ! Un vero connubio di Metal e Musica Classica, uno status fin troppo abusato da band che si limitano ad aggiungere un tastierino del cazzo, per far si che dicano “Noi facciamo metal misto alla musica classica !” Ma dove ?!
Questo invece, non è certo il caso degli Elarmir, che riescono a fondere alla perfezione due generi così agli antipodi, da riuscire a diventare una cosa sola, senza snaturare né l' uno, né l' altro, infatti se la doppia cassa fa tremare il petto, e il muro sonoro delle distorsioni di Alex Trotto, farà felici gli amanti del metal estremo, un stile chitarristico assolutamente lineare e duro, che richiamano le scorribande in estremo dei Meshuggah, l' ugola d' oro di Gabriella Aleo, la rossa vocalist degli Elarmir. sorprenderà ed appassionerà, persino chi ama solo la musica nel senso più classico del termine, con parti volutamente dritte di canto, arricchite da controvoci, cose che non si trovano tutti i giorni quindi. Scordatevi il metal sinfonico di Nightwish, Within Temptation ed affini, ma immaginatevi il metal estremo che realmente si fonde e diventa una cosa sola, con la maestosità e l' eleganza di un maestro indiscusso ed amato in ogni tempo, come può essere Antonio Vivaldi, di cui sul finale, troviamo un vocalizzo lirico, che è assolutamente una citazione ad “In Furore”, dello stesso maestro. Quindi ora bando alle ciance e godiamoci “4 Seasons of my life” in attesa dell' album che sta prendendo forma sempre di più, tra future importanti collaborazioni con band internazionali, sono più che certo che gli Elarmir, non si fermeranno qui !


Anthony
Elarmir Feat. Alexey Soloviev - 4 Seasons of my life



Elarmir - The Others (Whispers)






venerdì 14 ottobre 2016

"PIGS" di Konstantina Kotzamani (2011)


Non si tratta di una recensione, ma un invito a visionare un gioiellino vero e proprio, una rara perla di bellezza weird, arte pura. "Pigs" di Konstantina Kotzamani, del 2011, è un capolavoro weird, dove la maestria dietro la macchina da presa, è superata solo dalla maestria nell' arte proposta. Fatevi un regalo e guardate queste meraviglia ! Cliccate sul titolo del film in basso per vederlo. 
Anthony


lunedì 10 ottobre 2016

Real Chaos "Consumo Interiore" - Recensione Album #11


A cura di Anthony

Ho avuto modo di vedere live questa band allo scorso Agglutination Metal Fest, in provincia di Potenza e devo dire che mi colpirono positivamente. Purtroppo, un po' per l' orario (suonarono infatti verso le sedici), un po' perché erano la band d' apertura, un po' perché il tempo loro concesso sul palco fu veramente poco, ma il caso volle che la loro performance passasse quasi ignorata dal pubblico e questo mi dispiacque. Così oggi mi trovo con grande piacere a recensire questo “Consumo Interiore” dei “Real Chaos”. Uomo vitruviano in decomposizione in copertina e si parte. Ben sedici pezzi che però riescono appena a sfiorare i tre minuti di durata, e parto quindi con l'iniziale “Mondo”, riffing pungenti e potenza brutal-death metal mi accolgono su un cantato in italiano. Un simil-growl soffocato, che si adatta perfettamente al testo di denuncia che la band vuole proporre. L' urlo disperato di chi non trova altro sfogo se non nella musica; e devo dire che si parte bene soprattutto per la tecnica e la potenza dimostrata. “Senza Limiti” è il secondo brano e anche se, nonostante la produzione non sia limpida (e per me è sempre un punto a favore), due minuti di potenza controllata che richiama la cadenza ritmica di un esercito di elefanti che si sposta rapidamente per la pianura, così come “Grido di Dolore”, dove si inizia a sentire lo zampino di band come Suffocation, Cannibal Corpse e in genere di un suono che bada molto più alla sostanza che ai virtuosismi tecnici, anche se le capacità dei pugliesi sono ben chiare, ed arrivo così al primo pezzo non in italiano “Life of Devastation” ed il suo riffing accattivante, anche qui si superano a stento i due minuti totali, eppure siamo lontani dai territori caotici e non-sense di certo Grindcore, qui i momenti più legati all' underground Grind, sono tutti ben dosati, usati per aumentare la potenza e la carica distruttrice di brani come la title-track “Consumo Interiore”, dove il growl migliora notevolmente e la voglia di sbattere la testa è presente ed aumenta nota dopo nota. Mi stupisco di uno splendido assolo a metà tra Cannibal Corpse e Necrophagist, mentre i “Real Chaos” continuano a macinare riff trita cadaveri con una vena “elettronica” sul finale. “Bugie” è poco più di un intermezzo di appena trentaquattro secondi che lascia subito spazio a “Debitore di Te Stesso”, un brano molto vario, che spazia tra la furia cieca di punk-hardcore, Grindcore e Death Metal e non faccio in tempo a concentrarmi per analizzarlo bene, che “Libero di Scegliere” irrompe nelle mie casse. I Cripple Bastard mi saltano in mente punzecchiandomi, facendomi notare il loro contributo a brani del genere che si susseguono senza sosta. Devo dire che non è un genere che io ascolto frequentemente e neanche mi trovo ad apprezzarlo particolarmente, però quando il tutto, come in questo caso, viene mescolato ad un Death Metal veramente ferale, fiero, potente tanto che pare di sentire dei leoni ruggire quando il basso alza la voce, bhè allora me lo godo tutto per bene. “Conclusione” è il brano numero nove e anche qui mi stupisce e delizia un assolo anche “sentimentale” su una base puramente da tritacarne. Il “Viaggio” sta per iniziare, recita la decima traccia, ed infatti il senso di un viaggio che è più una fuga, il brano lo da, complice anche il testo che mi suggerisce le immagini da visionare nella mente, cosa che invece non fa il brano seguente “Fuck” dal testo discutibile, ma con un comparto strumentale splendido, forse uno dei migliori di tutto l' album, in appena cinquantotto secondi, “Fuck” è un brano ricco di tecnica, di inventiva, un brano che riesce a catturare e ad essere goduto. Drumming da martello pneumatico e growl soffocato, prendono vita nel videoclip ufficiale. “Tecnologia VS Dio” e torna la buona tecnica dei “Real Chaos”, questa volta più ragionata, più “pacata”, una potenza che diventa quasi malvagità chirurgica, nell' affermare che “siamo diventati una macchina” ed hanno ragione... “Giorno Bastardo” e tornano a darmi il gomito nei fianchi i Clipple Bastard, sicuramente per il titolo del brano, anche qui, trovo una band più consapevole e che ragiona sicuramente di più, invece di lanciarsi a capofitto in potenza senza controllo. L' assolo sul finale poi, è veramente fantastico, vale la pena ascoltare tutto anche solo per quello. Appena quattro secondi per un brano (?) come “CLTV”, e qui band allucinate come Anal Cunt e Agoraphobic Nosebleed mi fanno da lontano “ciao ciao” con la manina, ma non ho neanche il tempo di rispondere al saluto che mi trovo catapultato nella violenza di “Ipocrisia di Pace”, già un titolo violento di per se. Ritmo incalzante, accattivante, che prende e rapisce, chi ama il Death Metal più legato al Grind senza troppi ragionamenti e seghe mentali, troverà pane per i suoi denti. Siamo di fronte a brani ben strutturati, per niente caotici nonostante la grande furia, rabbia pazzesca ed estremizzazioni, tipiche dei generi proposti, che i “Real Chaos”, sono riusciti ad amalgamare alla perfezione, sapendo essere anche più “accessibile”, qualora lo vogliono, come dimostrano in “Autocontrollo”, sedicesimo ed ultimo pezzo di questo “Consumo Interiore”, e devo dire che non potevano trovare un titolo più azzeccato di questo, un brano totalmente Death Metal pacato e controllato, totalmente strumentale e che dimostra che chi ama la musica estrema, riesce anche a renderla più accessibile, senza snaturarla, né scendere a compromessi, ed è proprio così che voglio chiudere questa recensione, essendo più diretto possibile, se non amate il genere, ok, passate oltre, ma se amate il Death Metal ed il Grindcore, con tutti i sotto-generi a loro collegati, bhè, allora alzate il culo e filate a comprare “Consumo Interiore” e supportiamo questa band, come tutto il metal italiano, che non ha niente da invidiare a nessuno !

7,5 - 10


Anthony

Line Up :
Luca Pennetta - Drums
Giuseppe Fiscarelli - Guitars
Enzo Tancredi - Vocals / Bass

Genere :
Brutal Death Metal - Grindcore

Paese :
Italia

Città:
Foggia

Discografia:
Effetto Farfalla -  Full-length (2010)
Incredulo Mi Guardo Intorno - Full-length (2013)
Consumo Interiore - Full-length (2015)

Contatti:


venerdì 7 ottobre 2016

Suspiria- La leggenda della Janara


Primo video del canale youtube creato dal blog gemellato "Suspiria", che dimostra ulteriormente la grande passione per tutto ciò che è occulto, misterioso, macabro e Weird, una passione che ci accomuna ! Spero che vi piaccia ! ;)
Anthony

martedì 4 ottobre 2016

Sailing To Nowhere - "To The Unknown" - Recensione Album #10




A Cura di Anthony

Arrivano da Roma questi ragazzi che hanno scelto per la loro band, un moniker veramente bello ed evocativo “Sailing to Nowhere”, e con “To the Unknown” creano immediatamente un fantastico immaginario da fiaba. Storie di pirati, di antichi vascelli, onde immense e mostri marini iniziano a balenarmi nella mente al solo guardare la copertina, la salsedine che fa bruciare gli occhi e l' odore delle onde... che meraviglia ! Devo dire che si presentano proprio bene questi ragazzi romani e quindi, mi hanno incuriosito non poco, anche considerando il loro look abbastanza “piratesco”, quindi non vedo l' ora di sentirli all' opera e parto con il primo brano “No Dreams in my Night” e i suoi suoni lenti iniziali contornati dal suono delle onde e non poteva essere altrimenti ! E dopo alcuni secondi di calma iniziale, una tempesta controllata inizia a balenarsi all' orizzonte. Un riffing dinamico di chitarra che si intreccia alla perfezione con le Keyboards aprono la strada alla voce maschile clean e immediatamente molto ispirata, ma ciò che salta subito all' occhio...ops, pardon ! all' orecchio, è la buona composizione dei “Sailing to Nowhere” anche se nel momento in cui le vocals femminili entrano in scena, appaiono leggermente sottotono, forse surclassate dal suono della ritmica, molto presente e sostenuta, ma non è certo un difetto, anzi, mi trovo di fronte a brani di una splendida cadenza progressive, tra assoli magistrali che si intrecciano tra i tasti del piano e le corde della chitarra, uno splendido inizio che mi fa proseguire entusiasta l' ascolto, quando parte la seconda traccia “Big Fire” ed il suo riff assolutamente power contornato di progressive. La voce femminile questa volta apre le danze, ma ciò che colpisce è lo splendido assolo che trovo a meno della metà del brano e il riffing centrale che poi sfocia in un altro splendido assolo, questa volta di tastiera che poi lascia campo libero alla chitarra... questo di magico, evocativo, sensazioni tra le note, e devo dire che questi sono pezzi che funzionerebbero benissimo anche se fossero strumentali. “Fallen Angel” è il titolo abusato... stra-utilizzato della ballad al numero tre, ma devo dire che fa sempre il suo effetto. La capacità di raccontare dei romani viene momentaneamente messa da parte, per lasciare spazio al sentimento e, pare che sia una scelta azzeccata, anche se forse è un po' troppo presto trovare una ballad in questa fase dell' album, tuttavia, i cori del pre-chourus si fanno amare e la doppia cassa spazza via tutte le incertezze e mi godo la grande fase strumentale che i nostri ci lasciano nella seconda parte del brano, prima di riproporci i cori già ascoltati in precedenza, che sono davvero piacevoli e ben fatti ! Interessanti in questa fase gli intrecci vocali, più che in altre. “Lovers On Planet Earth” è la quarta tappa di questo “To the Unknown” e anche qui i sentimenti e la capacità emotiva non si fa attendere. Una splendida fusione di potenza assolutamente metal, con la tecnica per niente fredda e stantia ma, anzi, pregna di emozioni che vengono esternate nel modo migliore dagli intrecci delle due voci che si inseguono e accavallano e dalle corse in solitaria degli strumenti lead che sono capaci di suscitare meraviglia ed ammirazione, anche a chi non segue questo genere. “You won't Dare” e il suo Synth cupo si fanno largo sfruttando la potenza del Power metal e spazzano via ogni sentimentalismo dei pezzi passati. Qui pare di trovarsi di fronte ad una migrazione di balene, enormi cetacei, meravigliosi ed aggraziati che si muovo sulle terzine della ritmica di questo brano, molto più metal in senso stretto degli altri. Anche qui, l' intreccio sullo sfogo in solitaria dei leads, è qualcosa che entusiasma e si lascia amare senza problemi. Trovo poi un bridge praticamente senza musica, che lascia alle voci lo spazio per liberarsi e innalzarsi come onde oceaniche : Ammainate le vele, reggetevi forte, Forza Nettuno, mostrami la tua forza !
“Stranger Dimension” è un pezzo molto più calmo, quasi una ballad, con splendidi accavallamenti delle due voci, che danzano sulle note squillanti delle Keyboard e anche questo pezzo, scivola via navigando su assoli e pioggia battente in doppia cassa, che non va a snaturare l' emozione cercata, ma anzi, l' amplifica e le dona cadenza controllata. Come un pezzo Thrash anni '90 parte dinamica “Sailing to Nowhere”, title track degna del ruolo assegnatole al numero sette di questo album, una lunga strofa è lasciata alla voce maschile che poi lascia il giusto spazio anche alla sua controparte. Trovo una ritmica martellante e le deliziose parti strumentali a cui i nostri ci hanno abituato nel corso del loro debutto, una formula che funziona, magari si sente un po' di incertezza ancora in questa parte, sia nella parte vocale che nel guitar working, ma è palese che si tratta solo di un certo “nervosismo”, infatti il resto del brano scorre proprio come un veliero tra le onde ! Mi avvicino all'epilogo con “Sweet Rain” e le sue dolci note di piano iniziali, un' atmosfera subito malinconica e calda mi cinge, accolto dalle voci espressive ed accattivanti, chiudendo gli occhi, pare davvero di trovarsi sotto-coperta di una nave del '700, in balia di una tempesta. La sensazione di “navigazione” viene accentuata da un assolo andante e ondeggiante e soprattutto nella seconda parte, il sentimento regna. Note cariche di solennità e malinconia, creano il tappeto ideale per un finale perfetto per un brano del genere.
Strabuzzo gli occhi incredulo quando parte l' ultima traccia, cioè la numero nove “Left Outside Alone” cover di Anastacia, in chiave metal... bhè... se piace va bene... e continuo a rimanere incredulo ascoltando, nonostante l' arrangiamento metal doni particolarmente a questo brano. Che dire... immagino sia un pezzo che conosciate tutti, anche se non l' avete mai ascoltato con un assolo del genere !
Per concludere, “To the Unknown” dei “Sailing to Nowhere”, è un album piacevole, ben realizzato, con una produzione ottimale e questi ragazzi, sono persone che di sicuro sanno il fatto loro. Un buon esempio di metal accessibile ed evocativo, che non disdegna di farsi apprezzare anche da un pubblico più vario da chi ascolta solo metal. Le uniche cose che a mio parere sono negative, sono innanzitutto la scelta di unire due voci, si maschile e femminile, ma entrambe clean, quando secondo me, un poderoso e violento Growl avrebbe sicuramente giovato ai pezzi donandogli un notevole spessore ed intensità, se affiancato alle vocals di Veronica, che sono lontane dal concetto tipicamente gothic, di voci eteree e liriche. L' altro punto che un po' penalizza l' album, è la durata e la struttura dei brani, un po' troppo canonica e da manuale, quando dei pezzi più articolati e con un minutaggio più alto, sarebbero stati di certo più da ammirare. Per il resto, buon look, buona presentazione e buona professionalità, secondo me, sono da consigliare !

8,5 – 10


Anthony

Line Up :
Veronica Bultrini - Vocals
Marco Palazzi - Vocals
Andrea Lanzillo - Guitars
Luca Giuliani - Guitars
Giovanni Noé - Drums
Livia Capozzi - Keyboards
Carlo Cruciani - Bass

Genere : 
Melodic Power Metal - Hard Rock

Paese : 
Italia

Città :
Roma

Discografia :
"To The Unknown  - Full-length (2015)

Contatti :


domenica 2 ottobre 2016

La Casa dei Reietti - Racconto #10



La Casa dei Reietti

Anthony Weird

Lo spio.
Sto in camera mia e lo spio. C'è un mostro che vive qui accanto.
E' l' uomo senza faccia, ringhia e bestemmia ruttando, quando beve e poi lancia le bottiglie contro il muro. M' accende le voglie, m' infiamma. Mi massaggio il clitoride quando la sua vestaglia si apre, vedo la sua pelle bianchissima che pare umida e fredda, come un pesce, come se fosse stato giorni ammollo in acqua.
Ansimo. Mi Tocco. Il cazzo del mostro davanti a me, alzo lo sguardo sul suo viso senza occhi. Apro la bocca e l' accorgo, glielo succhio al mostro, immagino la lingua scivolare lentamente, inarco la schiena e ansimo aprendo le labbra. Glielo stringo intorno, la mia bocca si riempie. Assaporo.
Poi di colpo il terrore, mi fermo, scappo via, mi copro le orecchie e svanisce il piacere. Mi terrorizzano le sue urla disperate, lo sento piangere e dimenarsi. Sul tavolo della sua cucina, impreca e si masturba, lo guardo sborrare su pezzi di carne colanti, provocando l' ira delle mosche che combatte senza grazia ed i miei occhi, scendono ancora tra le sue gambe, quando l' ira si placa. Guardo gocce di sperma colare lentamente, dal suo glande come dalla sedia e mi vergogno quando desidero il suo orgasmo.
So che un giorno verrà a prendermi.
Passo le notti con gli occhi spalancati, ombre nere mi tengono compagnia. Quando il mostro si dispera, gli spettri paiono esultare, infilo gli occhi nella fessura sul muro, per vedere le sue urla e vomito, guardando la sua tana, dall' orrido tanfo di morte.
Stanotte le nebbia circonda la nostra grande casa. Un muro ci divide, freddi mattoni umidi di muschio che mi rendono prigioniera. Sono figlia dei miei peccati, murata viva nella casa dei reietti, ormai schiava dei miei abbandoni. La mia sagoma alla finestra, attira spiriti maligni, creature striscianti grondanti pensieri lascivi, ovunque braccia che mi cercano.
Nel mio letto, le mani dell' uomo senza faccia, solleticano la mia pelle. Tremo. Struscia il membro sulla mia pelle calda, lo sento ansimare masturbandosi mentre mi scruta tra le cosce, morboso, non trovano pace i suoi occhi inesistenti. Non oso guardare. Mi pietrifica il suo ghigno e ho ribrezzo di quella lingua da rettile. Sento i polpastrelli accarezzarmi piano, mi danzano con la grazia che non ti aspetteresti sul ventre, sul seno, seguo mentalmente il movimento, cercando di capire da dove sia entrato, poi piano, l' oblio, i sensi mi abbandonano : Le sue dita gelide aprono leggermente il mio sesso. Il clitoride che viene preso tra il medio e l' anulare, con le due dita che scivolano tra le labbra che sento gonfiarsi e piano, sporcare le lenzuola. La sua sagoma esile e scheletrica, proietta la sua ombra nera sul mio corpo. Mi muovo, come un serpente, come una puttana, lasciva eppure terrorizzata dal suo protettore, come se fosse il mio cliente speciale, godo del suo tocco freddo.

Apro le gambe e non mi basta più quella sfacciata corte. Apro le gambe e l' accolgo. Apro le gambe e lui si insinua dentro di me, come ogni notte.

Anthony Weird

sabato 1 ottobre 2016

NeroArtico - "La Morte su di Noi"



Questa non è una recensione, non potrebbe esserlo, dato che in questo progetto dell' amico Artic, c'è il mio zampino ! Volevo però presentare a chi legge il mio blog, questo lavoro estremamente particolare ed originale ideato e scritto e suonato completamente da Marco "Artic" Spera, e che ha preso il nome di "NeroArtico", un progetto sperimentale a metà strada tra l' Ambient, il Doom Metal, Depressive Black metal e il racconto musicale. Un concept fatto di immagini oniriche, territori oscuri dove arrancano inermi anime senza pace, raccontati attraverso i suoni estremamente marci, pesanti e dilatati della chitarra di Artic. Le vocals sono di Malphas, cioè del sottoscritto ;)
Spero che possiate apprezzare, vi lascio di seguito la prima traccia estratta dall' Ep "La Morte su di Noi" cioè, l' anteprima "Gli occhi nel buio" e il brano successivo "Tu Morte Che Parli". Enjoy ! ;)
Anthony

Gli occhi nel buio





Tu Morte Che Parli


mercoledì 28 settembre 2016

martedì 27 settembre 2016

Askesis - "The Path to Absence” - Recensione Album #9


A cura di Anthony

La band “Askesis”, viene da Venezia e ci propone un Blackned Death metal a tinte molto oscure e grezze, che richiamano le tenebre del death metal svedese. Oggi ci propongono il loro Ep di debutto “The Path to Absence”, dalla copertina in bianco e nero, molto “Lovercraftiana”, quindi, senza troppi giri di parole, mi accingo ad ascoltare i cinque pezzi che lo compongono.
Ad aprire le danze è “Prayer to the Void”, arpeggio decadente, misto ad una melodia glaciale e spinosa, appare subito palese una produzione molto anni '90, e il richiamo al death metal di stampo svedese è innegabile. Le vocals vanno confondendosi tra i giri di chitarra che non faticano ad aprirsi senza lasciarsi sedurre dalle alte velocità, nonostante la doppia cassa martellante, si resta comunque su territori non pregni di malvagità, ma è una cattiveria profondamente legata a territori decadenti e malinconici, dove un misto di questi due sentimenti così potenti, vanno a mescolarsi in un modo perfetto. Rispecchiano infatti perfettamente il senso di delusione mista a rabbia che si prova, dopo una brutta esperienza. La cosa cambia totalmente con la successiva “The Triumph of Gravity” ed il suo riff oscuro. Qui la malinconia viene totalmente messa da parte ed è la cattiveria controllata a farla da padrone. Blast Beat chirurgici, pugnalano l' addome contornati da un tappeto di chitarra e basso pregni di tenebre, dove fanno le veci di una ambientazione orrorifica, soprattutto quando le lyrics si trasformano in una risata malefica, espediente che si ripete nella seconda parte del pezzo, e che riesce sempre a fare effetto. Il brano poi prosegue lungo un fiume alternante, creando riff dinamici, che non hanno paura di osare e come un lungo e grosso serpente, sinuosamente e inevitabilmente, si avviano alla fine. “Disgust Paralysis” col suo riffing dinamico e assolutamente Black metal, cattura immediatamente l' ascoltatore e si fa amare grazie ad un drumming efficace, preciso ed in linea con il genere proposto. Un ritmo sostenuto che mi accompagna piacevolmente lungo il brano, ed il primo rallentamento arriva dopo un bel po' ! La band sta ampiamente dimostrando di conoscere bene il genere e di sapersi districare egregiamente, gli Askesis hanno trovato la loro dimensione, il loro stile e riescono a ripresentarlo immutato pezzo dopo pezzo, anche in brani dalla notevole durata, come la numero quattro “Noluntas Storm”, che rasenta i nove minuti. Brano che richiama la prima “Prayer to the Void”, dove torna la vena malinconica dei veneziani, in una intro che sa di doom metal, che poi sfocia in una carica esplosiva e assolutamente pregna di rancore, un brano splendido che riesce a catturare l' attenzione già dalle prime note, con riffing dinamici e tempi andanti, che sono perfetti per la sede live. Sorretta da un basso molto presente in questa fase e potente quanto basta, la chitarra riesce magistralmente ad unire rabbia e cattiveria con disperazione e sentimenti più depressivi, che si rincorrono e si nascondono dietro alle vocals rabbiose e un drumming che pare scandire i rintocchi che mancano alla fine, con una tensione costante e il gelido orrore che questo brano magnifico, si porta dietro.
Arrivo quindi all' epilogo di questo “The Path to Absence”, con l' ultimo brano “Dancing on the Grave od Consciousness” ed i suoi rintocchi iniziali, in una intro che riporta alla mente i giri di Tony Iommi, ma in chiave assolutamente più metal e più grezza, tutto ciò, prima di entrare nel vivo con un riff black scandinavo, gelido e circolare, brano che in linea di massima, non aggiunge niente di nuovo alla prova degli Askesis, se non confermare le ottime capacità dimostrate e la conoscenza di cosa realmente ci accingevano a suonare. Una prova degna di nota quindi quella di questi ragazzi veneti, tenendo presente che si tratta comunque di una produzione underground, grezza e per niente cristallina, ma secondo me è un bene, assolutamente in linea con il genere proposto, un debutto entusiasmante per una band da tenere d' occhio, per i lavori futuri. Lo consiglio a chi ama il genere e a chi si nutre di metal estremo.

8 – 10
Anthony

Line Up :
Julian: vocals
Nadia: guitar
Laura: bass
Sam: drums

Genere .
Blackned Death Metal

Paese :
Italia

Città :
Venezia

Discografia :
"The Path to Absence” (Ep 2015)

Contatti :


sabato 24 settembre 2016

Fenix Tales - "The Abyss Eye" - Recensione Metal #8


A cura di Margoth

In questo momento di transito in cui l'estate spensierata abbandona le scene ecco che l'abbraccio autunnale ci avvolge portando con se le sue tinte oscure e malinconiche. Ed è proprio su questa scia che i "Fenix Tales" colorano la loro musica. La band Symphonic-Goth Metal fiorentina, fondata nel 2008 dal tastierista Marco, ci propone il full-lenght di debutto "The Abyss Eye". Mentre mi accingo ad inserire il CD nel lettore, mi soffermo ad osservare l'aspetto e la cura del Jewerly Case, dove una fenice fiammeggiante utilizzata come cover art, spicca su un fondo scuro. Essendo una persona molto curiosa, ogni qualvolta ricevo un album, non riesco a trattenermi dalla voglia di fiondarmi sul booklet interno, ed i Fenix Tales hanno deciso di dedicare a quest'ultimo solo un paio di pagine, in cui sono presenti una piccola biografia, la line-up e una foto della band; questo mi lascia spiacevolmente delusa, avrei preferito un booklet con tutti i testi presenti nell'album, in modo da poter avere un primo impatto sulle tematiche affrontate, cosa che spesso molti "ascoltatori" tendono a tralasciare. Senza lasciarmi avvilire dall' aspetto tremendamente semplice ed essenziale, che nel complesso caratterizza l'estetica del Jewerly, d'altronde "il libro non si giudica dalla copertina", inizio ad ascoltare la prima track. Il disco si apre con "Once Upon A time", intro che riesce immediatamente a catapultare l'ascoltatore nella dimensione oscura della proposta musicale della band, con orchestrazioni cupe e classicheggianti che danno spazio successivamente al secondo brano, "Friendly Darkness", in cui si erge il manifesto canoro di Lucia, soprano lirico dal timbro limpido e potente, che accenna un lieve ricordo alla ex cantante dei Nightwish, Tarja. Il brano è suddiviso in diversi momenti, alcuni più lenti dal tono angosciante e drammatico, dove il carattere operistico e classico elargisce maggiormente e che si alternano ad altri in cui la componente metal si integra sapientemente senza risultare eccessivamente irruente. "Confutatis Maledictis" è introdotta da un recitato in latino capace di suggestionare sin dalle prime note, la dinamica è caratterizzata da melodie inizialmente lente e che procedono in un crescendo dove la voce, sempre in primo piano, è alternata a riff di chitarra energici; di impatto sono anche le influenze “arabeggianti” che rendono la struttura del brano ancora più magica ed intrigante. "War" rievoca suoni di guerra, campane a suon di morte ed una malinconica pioggia scrosciante, il tutto incorniciato da splendidi vocalizzi ed un sottofondo pianistico. In seguito "Paths" il cui sospirato non è nient'altro che un miraggio soffocato dalle sonorità che acquisisce inaspettatamente questo brano, denota un carattere più aggressivo e potente. Nella title track "The Abyss Eye" la melodia vocale sembra richiamare il violino di Federico che istintivamente sembra lasciarsi ammaliare, rispondendo al suo fascino. Un intreccio particolare, seducente, in un' atmosfera macabra e pregna di mistero. La nota amabile è data da "LCI", dove un pianoforte accompagna la melodia dolce e armoniosa della voce, un pezzo lento, affascinante e suggestivo al tempo stesso. L' ultima track "Dolls" è esaltata dalla presenza del violino, che in solitudine canta su di un tenue tappeto sinfonico in cui senza preavviso, si inseriscono prepotentemente, avvalendosi di riff scattanti, le chitarre insieme alla batteria.
I Fenix Tales sono un gruppo di elevato spessore, le cui influenze richiamano gruppi come Epica, Lacrimosa, Therion e che si avvale di componenti tecnicamente preparati, di grande maestria e professionalità, ben distanti dal concetto di Symphonic Metal che negli ultimi anni sta dando alla luce band prive di identità, prede del "riciclo" e malpredisposte nel convincere chi ha fatto del metal "serio", il proprio stile di vita. Con un sound oscuro e a tratti più aggressivo delle chitarre e della batteria, unito alla dolcezza delle sinfonie e della voce da cui emerge un' eleganza ed una finezza nota a poche band, le uniche pecche sono probabilmente le scelte dei suoni della chitarra, che all' ascolto risulta un po' secca e la resa sonora della batteria, che risulta poco convincente; nonostante questo ho fiducia nel poter seguire l'evoluzione musicale della band, che sicuramente ci riserverà ulteriori sorprese per il futuro.

7 – 10

Margoth

Line Up :
Lucy Lucia Liù- voice
Alex - bass
Simone - drums
Federico - string
Niccolo' - guitar
Marco - keys

Genere:
Symphonyc Metal

Pese : Italia
Città : Firenze

Discografia:
The Abyss Eye - Fulll-lenght (2015)


Contatti :


mercoledì 21 settembre 2016

Feto Morto - Recensione #28



A cura di Anthony

Io di roba estrema ne ho vista, demenziale pure... e anche dei bei pipponi trash che facevano imbarazzare anche lo spettatore, ma quando trovi qualcosa che racchiude tutto questo, amplificandolo per mille, bhè... allora davvero resti senza parole !
Il “film” (eh si, le virgolette sono d' obbligo) brasiliano in questione, è “Feto Morto”, un enorme calderone di non-sense, che gioca a fare l' estremo con un budjet sotto zero e quattro “attori” scalmanati che ce l' hanno a morte con i bambolotti...
La trama, si svolge intorno ad un ritardato che ha una bambola in testa, si, gli esce letteralmente un bambolotto dal lato sinistro della testa (…), che prende un sacco di mazzate da tre metallari che poco prima avevano ucciso diverse persone per puro divertimento “satanico” (evvai di stereotipi), tra cui il solito Ciccio Bello calpestato che dovrebbe rappresentare un infanticidio. Comunque questo tizio ritardato, tra masturbazioni, vomito ed omicidi vari, intraprende un viaggio per addestrarsi ed ottenere la sua vendetta.
Con effetti speciali inesistenti e scene buttate dentro a caso, tutte condite da Slamming Brutal Death Metal e Grindcore, questo non è altro che un delirio di circa un ora, che vuole fare l' estremo, con scene ridicole, come ad esempio peni taglienti come coltelli che, insieme alle braccia, si stacca manco fossero tenuti insieme al corpo con lo sputo... avremo il già citato Ciccio Bello “ucciso”, il ritardato che si viene in faccia da solo guardando un porno, una bella gnocca brasiliana che però si lecca un assorbente mestruato e poi si rotola nel vomito... un ciccione che si diletta in un concerto di peti e rutti, un prete cocainomane a cui un' auto passa sulle gambe, amputandogliele e una scena che pare la parodia di Karate Kid, in cui il protagonista (con tanto di bambola in testa, ricordiamolo), sarà addestrato alle arti marziali da un “maestro” mistico, che pare tanto la brutta copia del “Para-guru” de I Soliti Idioti, grazie ai cui insegnamenti, potrà eliminare i metallari satanici.
Un totale spreco di pellicola che vuole fare il verso allo slapstick più malsano, ma che fallisce su tutti i fronti, unico punto a favore, è la capacità del film di non prendersi sul serio, di voler in qualche modo, essere la parodia di se stesso ed il tutto si palesa nella scena finale, molto divertente, dove una metallara tatuata, che fa le faccende domestiche tette al vento, va a coccolare un neonato, che altro non è che una caricatura di un bambino in stile “Colorado” di Italia 1, cioè, con la faccia dell' attore con tanto di cuffietta, sul corpo di plastica di un “bambino”. La scena si fa sorridere sia per le smorfie del neonato che pensa alle tette, sia per via che, eccitato dai ballonzolamenti, tira fuori un pene più grande di lui...
Che dire... in ultima analisi, è qualcosa che per fortuna dura poco... se volete vederlo, prendetelo per quel che è, una accozzaglia di scene “rivoltanti” senza la minima concezione di cosa sia il cinema, di cosa sia un SFX e di cosa sia una trama ed una sceneggiatura, ma se non avete un ora da perdere, allora passate oltre, perché tanto, questo non è altro che un “filmdemmerda”.


Anthony

sabato 17 settembre 2016

Martyrs - Recensione #27



A cura di Anthony

Ho visto molte recensioni di questo “Martyrs”, film francese del 2008 di Pascal Laugier, e tutte parlavano di quanto fosse bello, di quanto fosse sensazionale. Non avevo mai letto niente della trama prima di vederlo, nulla, ho evitato ogni spoiler, ogni riferimento proprio al tema stesso trattato, proprio perché volevo godermelo frame per frame. In effetti, mi sono trovato un film che è totalmente qualcosa di inaspettato. Parte come un film sui bambini abbandonati, qualcosa alla “Orphan” per fare un esempio, per poi apparire come un horror blockbuster di serie B. Non avete idea di quanto questo sia lontano da ciò che Martyrs è realmente !
Io... vorrei cercare di non fare spoiler, ma dovrei chiudere qui la recensione e smettere di scrivere in questo momento... ma non posso farlo, non posso farlo perché ho delle cose da dire su questa pellicola, cose che non ho mai trovato in nessun altra recensione e non mi spiego il motivo, sinceramente.
Innanzitutto, partiamo dalla trama : Una ragazzina, Lucie, scappa via da un vecchio capannone abbandonato, mezza nuda, piena di ferite, mentre piange e chiede aiuto. Subito dopo, vediamo una ripresa, forse della polizia o di una troupe televisiva, che mostra dove Lucie è stata tenuta segregata per più di un anno. Una stanza buia, una sedia forata e delle catene, poi ci viene detto che nonostante le violenze subite, non ha subito abusi sessuali. Quindi degli aguzzini, hanno tenuto la ragazzina in un posto dimenticato da Dio, per torturarla e sfogare su di lei ogni tipo di violenza ma, che stranamente, non l' hanno violentata. Lucie viene data in affidamento ad una specie di ospedale psichiatrico infantile, dove farà amicizia con Anna, un' altra bambina ospite del centro, che le starà molto vicino e la aiuterà a superare lo shock per il trauma subito e le starà vicino per il suo autolesionismo. Dopo di ciò, avremo un salto temporale di ben quindici anni e vedremo una famiglia felice fare colazione in stile “mulino bianco” e, quando suoneranno alla porta, la favola avrà fine, perché qualcuno fa irruzione in casa con un fucile da caccia e stermina la famiglia. E' Lucie, che subito dopo telefonerà ad Anna, dicendole che era sicura, che erano stati loro, proprio quella famiglia a torturarla quindici anni prima, ed infatti, mentre Anna cerca di ripulire il massacro fatto da Lucie, trova (in una scena raccapricciante), un' altra ragazza incatenata e ridotta a larva, nel sotterraneo di questa casa, e la libera provando a salvarla, a curarla e liberarla dall' incubo, confermando quindi, ciò che diceva Lucie.
Quindi ? Tutto qui, film finito ? E no, se così fosse, il film sarebbe durato dieci, quindici minuti scarsi, invece no, c'è dell' altro... eccome !
Con una regia veramente particolare e dinamica, il film non annoia, non da momenti in cui puoi pensare di aver compreso dove andrà a parare, perché nel momento in cui arrivi a pensarlo, allora ecco che il film cambia totalmente registro narrativo. Cambia tutto, il ritmo, la regia, persino la fotografia, con continui colpi di scena originali e del tutto inaspettati. La trama principale stessa è terrificante... sapete quante persone scompaiono nel mondo ogni anno, senza lasciare traccia ? Una infinità, basta fare una rapida ricerca su google per rendersene conto. Tra vittime politiche, vittime di sadici assassini... e quindi, è possibile anche questo, anche una storia come quella di Martyrs, che odora di “deep web” e sadismo su commissione, tipo snuff movie. Un argomento certo, fin troppo trito e ritrito nel cinema horror, ma che ha sempre un certo fascino tutto particolare. Quindi, il fatto che sia tutto “possibile”, tutto “reale” e la cronaca spesso ci riporta purtroppo, casi di rapimenti e violenze, rende il tutto più spaventoso... ma non sarebbe niente, se non fosse per la grande maestria con cui il film è realizzato.
Purtroppo mi devo trattenere, perché ogni parola di troppo che dico, può rovinarvi una sorpresa fantastica... Vi dico solo che ad un certo punto del film, la figura di Pinhead ha iniziato a darmi dei colpetti di gomito nel fianco. Si, perché il richiamo ad Hellraiser è palese.

Non vi sto a raccontare altro della trama, ma il raggiungere “uno stato di illuminazione”, ascendere, ad un livello trascendentale di coscienza, a metà tra vita e morte e quindi, una dimensione dove il dolore non è più sofferenza estrema, ma un modo per elevarsi, un mezzo per ascendere ad un livello di coscienza dove il dolore si fonde e si confonde, dove il tutto è un martirio, come dice il titolo stesso... Ora però non saprei davvero che altro dire senza rovinarvelo... quindi a malincuore, chiudo qui... sappiate solo che è un Horror nel vero senso della parola, spaventoso, terrificante, profondo e non si tratta di uno splatter, non è un Torture Porn, assolutamente no, non lasciatevi ingannare dalle descrizioni, non è un film d' esploitation, è uno shock movie a mio avviso, ma non per l' estremismo visivo... l' estremo raggiunto da Martyrs è di altro tipo... Vedere per credere...e comprendere !

Anthony  

venerdì 9 settembre 2016

Blodiga Skald - "TEFACCIOSECCOMERDA" RECENSIONE ALBUM #7



Prima di lasciarvi a leggere la recensione seguente, volevo dare il benvenuto nella Stanza B-151 ad una nuova e graditissima collaboratrice, Margoth, che da oggi inizierà la sua avventura nei meandri più oscuri dell' arte... Spero che possiate apprezzare il suo lavoro. Buona lettura !
Anthony

A cura di Margoth

Se vi starete domandando cosa ci faccia un gruppo folk in un blog dedicato al lato estremo dell'arte, non lasciatevi ingannare dalle apparenze...
E' con i  Blodiga Skald che abbiamo deciso di inaugurare definitivamente lo spazio  dedicato al folk metal la cui parentesi era stata introdotta già con i  suggestivi "Emian Pagan Folk". La band romana nasce nel 2014 da un' idea del batterista Nicola Petricca e del chitarrista Daniele Foderaro a cui si aggiungono quasi immediatamente il cantante Anton Caleniuc, la tastierista Ludovica Faraoni e il bassista Emanuele Viali.  Nel novembre 2015 incideranno il loro primo Ep contenente 4 brani ed intitolato "Tefaccioseccomerda" che in un clima Tolkieniano fatto di elfi, umani ed altre creature fantastiche... No. Non è proprio il caso ! Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, questo gruppo non si limita alle solite tematiche fantasy, al culto della sbronza tipico del folk, anzi... non appena saremo intenti ad avvicinare il boccale di birra alla nostra bocca, un "simpatico" orco spunterà dietro la nostra nuca  e con un colpo secco ci catapulterà  brutalmente in un mondo sanguinolento dove orchi spaventosi si divertono a torturare e sottomettere esseri umani e non solo. Su questa scia cruenta il primo brano "Blood and feast" introduce la rude natura degli orchi, un brano speed  in cui le tastiere e la fisarmonica si intrecciano tra loro perfettamente creando un clima di festa che  impedirà anche ai più timidi di restare fermi e travolgendo tutti in un incessante "headbanging" rozzo e squilibrato! Approfittando dell' adrenalina che oramai circola in tutto il mio corpo mi tuffo in "Latin fear" il cui growl rude mi diverte e continua a lasciarmi soddisfatta oltre al piacevolissimo intermezzo che vede la fisarmonica ed il mandolino protagonisti.  Senza avere il tempo di brindare con i calici colmi di sangue umano " No Grunder No cry" esplode con tutta la sua potenza devastante in antitesi alla scia malinconica  e struggente che porta con se, commemorando la morte dell' orco Grunder. In questo pogo sudicio di sangue, morte e sbornie i nostri orchi ballano il loro ultimo "Valzer of Disgrace", oramai l'umanità è completamente sottomessa e i nostri orchi danzano in questo brano solenne dalle tinte forti ed oscure in cui le orchestrazioni ricevono il loro dovuto spazio senza comunque screditare gli altri strumenti ne distruggere lo stile folkeggiante caratteristico  e metal  che ho avuto il piacere di ascoltare fino ad ora.
Ancora intenta a dimenarmi pigio nuovamente il tasto play e quando mi accorgo che questo breve ma intenso viaggio è arrivato alla conclusione, mi rendo conto  che i  "menestrelli sanguinosi"  hanno lasciato un po' di "orchezza" anche in me. Come ho già lasciato trapelare dai miei commenti, il lavoro dei Blodiga Skald mi ha lasciata sorprendentemente soddisfatta, una release d'esordio più che ottima fatta di pezzi validi che  traggono ispirazione dai grandi nomi come Ensiferum, Korpiklaani, Arkona e Finntroll,  risultando comunque molto particolari e di un' identità ben ponderata. Non ci resta che scoprire in quali terre e in quali mondi avremo la fortuna di essere trasportati, con la speranza che si eviti in futuro di cadere in trappole che spesso penalizzano molti gruppi folk, ovvero banalità, mancanza di innovazione e  perdita di personalità.
Voto 7,5

Margoth



Line Up :
Urlatore - Anton "quello scarso" Caleniuc
Strimpellatore - Daniele "barbaro saccente" Foderaro
Fisarmonichella e Tastieraia- Ludovica "gloriosa in frattaglia" Faraoni
Zappatore - Emanuele "cosa ci faccio qui" Viali
Percussionante - Nicola "don tamburello" Petricca

Genere:
Folk/Pagan Metal

Paese : Italia

Città : Roma

Discografia :
TEFACCIOSECCOMERDA (Ep 2015)

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mercoledì 24 agosto 2016

The Descent - Discesa nelle Tenebre - Recensione #26


A cura di Anthony

Attenzione : Recensione già pubblicata da me su un altro sito


The Descent, mi era passato sotto al naso diverse volte, in questi anni in cui è in commercio, ed io ogni volta lo avevo snobbato, cercando sempre qualcosa di meglio, ma che spesso si rivelava essere molto peggio. Adesso finalmente mi sono deciso a guardarlo e, con mio sommo piacere, ho trovato un film davvero degno di essere visto ! Horror nel vero senso della parola, The Descent - Discesa nelle Tenebre, è claustrofobico, è oscuro in poche parole, mette i brividi in modi molto diversi tra loro.
La Storia inizia con delle ragazze che discendono le rapide di un fiume a bordo di un gommone, di cui una (Sarah, interpretata dalla splendida Shauna McDonald), ha marito e figlioletta ad attenderla sulla riva. L'introduzione è molto lunga (cosa che a me piace e che prendo come un merito) e si notano addirittura due colpi di scena, il primo, serve al regista, per avere una protagonista già precedentemente traumatizzata, prima ancora che il film entri nel suo vivo, ed il fatto che noi vediamo l' incidente stradale (uno dei più belli che abbia mai visto) che la sconvolge, ci rende partecipi della cosa e ci fa assistere ad un dramma vero, reale. Ora il film poteva prendere una piega assolutamente diversa da quella in cui si è poi sviluppato e così sembra, dato che si prede molto tempo, nella presentazione dei vari personaggi, il regista voleva in qualche modo, farci conoscere il più possibile le ragazze e farci "affezionare" a loro, attraverso feste, risate momenti gioiosi passati dalle amiche insieme, a cui lo spettatore è portato a far parte.
Ma oltre a questo il regista ha voluto darci di più. Abbiamo un trauma esistenziale e adesso avremo anche l' avventura quando il gruppetto di amiche (tutte bellissime tra l' altro), decide di andare ad esplorare le grotte e anche il thriller, nel momento in cui vediamo Jun posare in macchina il libro della guida alle grotte con una strana espressione sul viso.
Arrivate all' interno della caverna, la fotografia diventa superba, ottimi e stupendi giochi di luci e ombre, ci sarà ancora molto tempo prima che le terrificanti creature escano allo scoperto e nel frattempo vivremo scene al limite della soggettiva, dove lo spettatore vede, solo quello che riesce a vedere, dato che non abbiamo altra fonte di luce che le torce e i fuochi delle ragazze. Si muoveranno in cunicoli talmente stretti, che una esile ragazza, a stento riesce a strisciare attraverso. Non c' è mai noia, ma anzi, c' è tensione anche nelle scene potenzialmente "inutili" anche quelle mai tralasciate, ma anzi, ottimamente realizzate, persino le scene tranquille del film, o quelle "non-horror" tengono con il fiato sospeso. Il crollo dentro al cunicolo dell' entrata, segna davvero l' inizio dell' incubo per le ragazze, adesso sono rinchiuse sotto terra, al buio, senza una via d' uscita e non hanno ancora idea di cose le aspetta.
Dal crollo, all' entrata in scena delle creature fameliche, che segna l' inizio della componente orrorifica, passerà ancora altro tempo, ma senza mai annoiare. Vedremo Sarah e il suo comportamento post-traumatico, infatti lei sentirà spesso questa "bambina che piange" ma è impossibile che ci sia una bambina in quella caverna, così lei sarà preda della sua instabilità mentale e si allontanerà dal gruppo, quando Hollie aveva bisogno d' aiuto e sarà allora che le ragazze inizieranno a sospettare di non essere sole...
L' attacco delle creature è bellissimo, inaspettato ma sospettato e cmq avviene in un modo originalissimo. Le creature sono forse il punto a sfavore principale del film, insieme alle attrici, più belle che brave in alcuni (rari) punti, ma cmq molto, molto convincenti, perché questi mostri sono un po "banali" a livello di fisicità, sono infatti i classici umanoidi a metà tra vampiri in stile "Dal tramonto all' alba" e metà goblin, ma tant' è, fanno sempre il loro effetto e lo spavento è assicurato. E' assicurato soprattutto nel momento in cui vengono piazzati in un bel primissimo piano davanti alla telecamera e provateci in quel punto a non saltare dalla sedia !!
Con l' avvento delle creature assetate di sangue, abbiamo un livello crescente di splatter veramente buono e notevole per un film mainstream e adesso manca solo che le ragazze inizino ad aver paura l' una dell' altra ed infatti proprio questo succede...Solo la fotografia, impeccabile fino ad ora, inizia a perdere i colpi, ma questo avviene solo per favorire una maggiore resa cinematografica, che non si sarebbe avuta, nel caso le luci sarebbero rimaste quelle "reali" per tutta la durata della pellicola. La regia e le inquadrature sono presso-che ottime per tutto il film, aumentano di tensione a rilassano nei punti dove serve.
In pratica The Descent - Discesa nelle Tenebre, è un film completo, horror ma non solo, che colloca al centro dell' attenzione, prima i personaggi, interpretati come persone reali, che pensano, parlano si muovono, in una realtà diversa dalla nostra, ma in fondo molto simile, personaggi che lottano con le difficoltà della vita, prima che coi mostri e che quando si trovano ad essere faccia a faccia con le feroci creature sono "vittime" non solo di queste ultime, ma anche di loro stesse e del loro "essere umane". Si trovano in una situazione in cui devono collaborare, ma ciò avviene in grande difficoltà e ci troviamo in una realtà spaventosa in tutti i sensi e soprattutto, spaventosa in molti modi diversi.
The Descent è un film assolutamente da vedere e io consiglio anche da avere, sia chiaro che non si tratta di un capolavoro, ma sicuramente di qualcosa che gli arriva molto vicino.

Anthony