sabato 18 ottobre 2014

AFTERMATH - Recensione (5)



a cura di Anthony

E' possibile togliere la dignità, anche dopo la morte di qualcuno ? Sono davvero utili, tutti quei rituali 
ed onori funebri che in ogni tempo e cultura, sono destinati ai defunti, oppure, è un qualcosa che 
serve per lo più ai vivi, e che ai morti, è totalmente indifferente ? Cosa accadrebbe al defunto, nel caso il suo corpo, venisse straziato, umiliato, disonorato, degradato, insomma, mortificato e disprezzato in ogni modo possibile ? Quel freddo involucro di carne, senza più funzioni vitali, è ancora un essere umano, o è diventato una cosa, un oggetto ? 
Questo si chiede, e ci chiede, il talentuosissimo regista spagnolo Nacho Cerdà, nella sua Trilogia 
dedicata alla morte, iniziata nel 1990 con The Awakening, proseguita con Aftermath, nel 1994 e 
conclusasi poi, quattro anni dopo, con Genesis. Passiamo alla trama di questo secondo capitolo, quello che più di tutti, ha fatto discutere. 
Marta, era alla guida della sua auto, quando un cane le taglia la strada, lei lo investe, sbanda e muore 
nell' incidente. Come è da prassi, in questi casi, il suo corpo viene sottoposto ad autopsia, ma, la 
doppiamente sfortunata Marta (o il suo corpo), cade nelle mani di un anatomopatologo che ama la 
necrofilia, che farà scempio di ciò che fino a poco tempo prima, era una ragazza. 
Girato in un vero obitorio di un ospedale, in soli otto giorni, Cerdà, ci mostra senza mezze misure, la 
cruda realtà che si cela nelle camere mortuarie. In questo caso, troviamo medici che non si fanno 
scrupoli a riempire di stracci le scatole craniche, rimettere gli organi alla rinfusa all' interno del busto 
del malcapitato (anche il cervello viene compresso nell' addome, all' altezza dello stomaco), vediamo 
tubi dell' acqua, atti a sciacquare via il "lettino" metallico, da tutto il sangue e il tutto, è molto lento e 
cadenzato. Nei suoi appena 32 minuti, Aftermath è un film muto, ma non pensate alle pellicole di 
inizio secolo, semplicemente, non ci sono dialoghi e quindi, nessuno parla durante tutto il film. La 
fotografia, affidata a Christopher Baffa, è glaciale, fredda, con dei toni di grigio-blu che ti entrano nelle ossa,  che vanno ad amplificare la sensazione di ambiente asettico e ospedaliero e, quando qualcuno consegna un rosario a quelli che presumibilmente, sono i genitori della povera Marta, si ha la sensazione di attraversare un cancello, una porta, qualcosa che simboleggi un passaggio che mette fine, non solo alla vita della ragazza, ma alla sua condizione di essere umano. Un atto di grande simbologia, come a voler dire "La sua anima, qualora ci crediate, è qui, nelle mani del Signore, tutto il resto, ora è nelle mie". 
Tecnicamente, il cortometraggio, è pressoché impeccabile. Certo, la MDP (Macchina Da Presa), non ci risparmia frequenti primi piani e morbose inquadrature in piena shock exploration, ma il tutto, è 
fatto senza quella malsana malizia tipica di pellicole più thrash. Ci troviamo di fronte ad un opera 
fortemente artistica e, proprio per questo, lontana, dai bassi propositi di altre produzioni. I manichini 
usati come cadaveri, sono davvero molto convincenti, gli effetti speciali sono magistrali e nonostante l' effetto del rigor mortiis, venga un po' esasperato, e un leggero effetto "plastico" si noti, sfido chiunque a non farsi impressionare, soprattutto quando notiamo dei tagli con tanto di fuoriuscita di sangue, all' altezza dei polsi e delle caviglie (Per chi non lo sapesse, ai cadaveri, vengono di solito tagliati i tendini negli arti, per evitare macabre e fastidiose contrazioni nelle ore successive al decesso). L' unica pecca, a mio avviso, è il comparto audio, infatti nonostante nessuno parli mai, ci sono dei versetti fastidiosi (che poi vanno ad amplificarsi durante lo stupro), per quasi tutto il film, e questo, penalizza non poco il risultato finale.
La scena dello stupro, è glaciale, potente e shoccante come un pugno allo stomaco. Paradossale, è 
vedere il medico necrofilo, che, oltre al camice, si protegge la faccia e le mani, con diversi strati di 
guanti, mascherina e para-schizzi sugli occhi, per poi denudarsi nella parte inferiore del corpo e 
compiere la violenza, senza altre protezioni (l' attore, ha chiesto diverse volte al regista di non fare più di un chack per quella scena, perché stava già vomitando), e invece è interessante è guardarlo godere del tocco delle mani, con i palmi aperti, nel palpare gli organi interni della giovane. Ma non è tutta qui la violenza di questa pellicola. Infatti, una volta terminato il macabro amplesso, gli organi vengono ancora una volta, gettati nel torace alla rinfusa e, una volta ripulito il banchetto con il solito tubo dell' acqua, il tutto scompare nello scarico del lavello, e nessuno saprà mai cosa è accaduto.
Il finale, ci riserva un ulteriore scempio, una ulteriore degradazione del corpo della ragazza morta, 
proprio per rafforzare il concetto stesso del film. Non vi spoilero oltre, ma è qualcosa che ha a che fare con il cuore della povera ragazza, da sempre, il centro dei sentimenti, dell' amore e simbolo della vita stessa, in ogni cultura e civiltà umana. Ci saluta alla fine, il necrologio sul giornale, che ci racconta della dipartita della giovane "Marta Arnau Martì". 
Se non si fosse capito, qui il livello di gore è veramente alto, tra organi, corpi squartati e sangue, è un 
prodotto che anche un appassionato di horror, fa fatica a digerire. D' altro canto, è assolutamente 
consigliato, un film quasi obbligatorio per ogni weird-gore seeker, oltre che un opera veramente 
artistica. Statene alla larga, se siete facilmente impressionabili...
                                                                                                                                     Anthony

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