mercoledì 22 luglio 2015

Il Lupo di Rachelville - Racconto 7



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Signori e signore,
colui che vi parla e che in vita ha scritto queste parole, fu un assassino, iniziai molto tempo addietro a dire la verità. La prima volta ch’ io uccisi, si trattò di una bambina, Grace fu il suo nome e nonostante molto tempo sia da allora trascorso, ben ricordo, come vedete, come si chiamava, il suo volto e  mai, non rabbrividite vi prego, dimenticherò il suo sapore. Devo dire che Grace fu davvero molto fortunata in questo, degli altri non ricordo pressappoco nulla, di sicuro non il nome.
Ascoltatemi, vi prego, signori voi tutti, nel tempo che mi accingo a raccontare, fui un maestro di una media scuola, nei pressi di Rachelville, in Louisiana.
Oh signori, confessare devo a tutti voi, che anche se bramavo le giovani carni della maggior parte delle mie allieve, mai e ripeto, mai provai, ne a toccarle, ne ad azzardare oscene proposte.
Mi limitavo a contemplarle in silenzio, cercando di scorgere ogni minimo, occultato particolare dei loro acerbi corpi, che mi accendevano il desiderio fin dentro le viscere.
Ricordo con precisione i nomi di quelle che maggiormente turbavano il mio sonno ogni notte : Sarah Jessica O’ Brian, Lucy McHanzie e tante, tante altre.
Ricordo con precisione un giorno di metà primavera, in cui la signorina McHanzie, indossava una leggera fascia larga e datosi il caldo della giornata stessa, non portava nessun reggiseno. I suoi capezzoli sporgevano nobili, fieri, pensai di prenderla, di agguantare i suoi fianchi e trascinarla nello sgabuzzino del bidello. Immaginai le nostre lingue, i nostri corpi contorcersi. Non avrebbe dovuto venire a scuola vestita in quel modo, non avrebbe dovuto presentarsi d’ innanzi ai miei occhi coperta di soli pochi veli. Le sue compagne la deridevano, i ragazzi le giravano intorno, era una puttana, solo una piccola, lurida puttana. Pensai di rapirla, di morderla, di strapparle le tette con la bocca, d’ infilare le dita in quel suo piccolo, rotondo e sodo culetto, di farla a pezzi, bagnarmi del suo sangue, squartarla, entrare. Avrei voluto tutto ciò, avrei voluto questo e anche altro, ma vi prego, vi supplico di credermi : Io non lo feci, mai.
Ma andiamo per ordine :

L’ inverno precedente, mi ero allontanato da Rachelville, e di conseguenza dalla scuola, per andare a far visita ad un vecchia zia in punto di morte, sapete, era il dicembre 1906 e io e un gruppetto di ragazzi, stavamo tornando a casa attraverso l’ Oregon, ma fummo sorpresi da una tremenda tormenta. Decidemmo così di ripararci in una grotta, in attesa che la tempesta si placasse, ma ciò non accennava ad avvenire.
Eravamo in sei persone, io, Carl Simmons, Stewen Jonson, Lenny Stewart e sua moglie Linda e un italiano che si era unito al gruppo dato che facevamo la stessa strada, Stefano Reale fu il suo nome, poi c’ era il mio cane Rob e due cavalli.
Il primo giorno nella caverna passò abbastanza velocemente, pensammo a ripararci dal freddo e a tenere alto il morale, con dei racconti per conoscerci meglio, ma la tempesta, non accennava a placarsi.
Ignari di cosa stava per accaderci, decidemmo di accamparci sul carro per la notte.
Il mattino seguente, l’ entrata della grotta era totalmente sigillata dalla neve, non c’era nessuna via d’ uscita e, prima che lo pensiate, si, abbiamo provato per un giorno intero a scavare con tutte le nostre forze, ma solo Iddio sa quanta candida neve, fosse caduta d’ innanzi l’ unica via d’ uscita, murandoci all’ interno.
Le provviste finirono presto. La carne non durò una settimana ed il latte di capra e il formaggio non durarono che pochi giorni oltre. Uno dei cavalli era in agonia per la malnutrizione ed il freddo, così Carl, decise di mettere fine alle sue sofferenze e con quel cavallo, andammo avanti per altri sei o sette giorni più o meno. Quando anche l’ altra bestia, crollò sotto il peso della fame, per noi sembrò una benedizione. Per l’ acqua non era un grande problema, bastava far sciogliere la neve oppure raccogliere quella che colava dalle stalattiti. Ben presto, non avevamo più nulla, nel mese successivo mangiammo tutto ciò che era commestibile, il muschio sulle pareti, le selle dei cavalli, le cinture, le suole delle scarpe, persino Rob, ma non c’ era nutrimento in quel “cibo”, voi mi capirete, eravamo debilitati sia nel corpo che nello spirito, credevamo di morire tutti in quella caverna.
Il primo ad andarsene fu Stewen, il suo corpo era già provato e non riuscì a resistere a tutto quel dolore.
Ci guardammo in faccia tutti, ognuno in cuor suo pensava che quella era l’ unica cosa da fare, ma nessuno voleva ammetterlo, nessuno osava proferire parola, tutti aspettavano che qualcun’ altro, lo facesse per primo e Dio lo sa, oh si, solo Iddio sa quanto ribrezzo provavo sotto le labbra e per me stesso, quanta vergogna e solo Iddio ancora sa, quant’ io trovassi raccapricciante la vista di varie parti umane sul fuoco, ma ringraziai il cielo per l’ odore di quella carne.
Ma più di tutto, più di Grace, ripenso a quella, seppur vicina notte, era un trentuno ottobre qualsiasi, una festa oscura e divertente per gli altri, ma non per me. Pioveva…

Piove. Ancora. Non smette da tre giorni, guardo l’acqua scivolare giù dalle vetrine di questo caffè.
Di questo passo, ci sarà una piena e l’acqua se la  porterà via. Forse è meglio così.
Sul tavolo, c’ era già un giornale con la data di oggi : “30/10/1923”. Ha in prima pagina ancora la notizia di ieri, cioè la nascita della Repubblica di Turchia. Come se gliene possa fregare qualcosa a questi stronzi ignoranti, che abitano in questo cesso di cittadina, il buco del culo d’ America.
Immagino la notizia che ci sarà in prima pagina sul giornale di domani, quella si che sarà interessante, ehehe…
Come graffiava. Mamma mia, mi ha riempito di calci e graffi, sia sulle mani che sul viso, per fortuna qui, né il barista, né nessun altro, ha chiesto nulla, tutti sono assorti nei loro pensieri e preferiscono bere infreddoliti, piuttosto che sprecare tempo ed energie per impicciarsi dei fatti altrui.
Vorrei controllare una cosa…ma non credo che farò bene ad uscire per mettermi ad osservare          l’ acqua del fiume dal ponte, sono già bagnato fradicio, ed in più, desterei sospetti. Meglio di no e comunque sono sicuro che non si vedrebbe il sangue sull’ acqua. E’ troppo scura a causa della forte pioggia. Devo solo fare attenzione nel caso il fiume trasportasse a valle il resto del corpo.
Quella puttana maledetta ! Mi brucia tantissimo il viso, speriamo non se ne accorga nessuno.
Con questa fanno quattro, ma c’ è ancora molto da fare, la città è piena di marciume.
“Il lupo di Rachelville”, così mi chiamano. Non lo sanno che sono io, non lo sa nessuno. Era da un po che né  al giornale, né alla radio, parlavano di me, del resto, un omicidio non fa più ascolto ormai. Era ora di ricordagli che il lupo, ha ancora fame !
Come si divertiva quella puttana. Rideva. Credeva di aver trovato un altro cliente, di guadagnare. Certo il suo lavoro lo farà, anche se “ in parte”, del resto, ho tutto quello che mi serve di lei, proprio qui, in questa valigia.
Aveva le gambe belle lisce quando è entrata in macchina. Portava una gonna aperta sul davanti, per attirare i clienti. Quei porci arrapati.
“Vieni, ti faccio toccare prima”, così gridava, mi davano il voltastomaco !
Qui ci sono le decorazioni per Halloween, ho fatto bene ad eliminarla in questi giorni, la festività terrà lontana gli spiriti, anche l’ anima di quella troia, andrà dritta a bruciare all’ Inferno e non potrà venire a tormentarmi !
Sono stato bravo.

Ecco il suo bel culo, mi ha sporcato la valigia di sangue, ma ho fatto bene ad usare questi sacchi neri della spazzatura, l’ ultima volta il sangue mi colava tutto fuori. E’stata una bella sfida non lasciare tracce… più che altro, nessuna traccia troppo visibile…
Bacon, carote, quattro cipolle, rape, sedano, sale e pepe…ho una fame ! Questa sera mangerò una gamba, con dita, mani, qualche pezzo di un braccio, voglio lasciare la fica per domani notte, quando ci saranno i festeggiamenti per Halloween, così potrà svolgere il suo lavoro la puttana !
Come faceva mamma col tacchino ?
“Dopo circa un quarto d’ ora di cottura, versare circa una pinta d’ acqua e ungere la carne di tanto in tanto, ma ad intervalli frequenti, con un cucchiaio di legno”. Si, ricordo bene.

E così anche quella notte passò. Quella notte in cui era stato versato del sangue, ma ciò ch’ io non sapevo, era che l’ indomani, su quel quotidiano, non ci sarebbe stata la notizia che aspettavo.
Billy Brown, un ragazzino di 12 anni, insieme ai suoi amichetti di pressappoco la stessa età, giocava tra i boschi e i canali, assaporando già il magico momento del “Trick Or Treat”. Pensando agli artigianali costumi, che avrebbero usato quella notte, Billy, si imbatté in qualcosa che mai avrebbe immaginato… “Guardate qui ragazzi- chiamò a raccolta gli altri- Ma cos’ è ? Forte però prendiamola, la lanciamo a qualcuno che non ci vorrà dare i dolcetti stanotte !”
Oh signori lettori, come potevo io immaginare quello che sarebbe accaduto ? Mi aspettavo che qualcuno avrebbe ritrovato il corpo, certo, ma qualcuno adulto, che avrebbe subito pensato al lupo ed in preda al panico che m’ accendeva il desiderio, avrebbe avvertito le autorità e le radio e i giornali, avrebbero parlato di nuovo del Lupo di Rachelville, avrei assaporato la mia gloria, mi sarei nutrito della paura sui loro volti al mercato, o nei caffè che ero solito frequentare a quel tempo. No, a scuola no, i ragazzi non si preoccupavano di certe cose. Un pazzo che faceva a pezzi le puttane non era di loro competenza ed i colleghi insegnanti, erano troppo occupati a  pensare allo stipendio e a maledire il governo, per preoccuparsi dei casi di cronaca a loro vicini.
La sera di Halloween presi il suo bacino, lo poggiai sul tavolo e allargai le cosce. Aveva le gambe tranciate all’ altezza delle ginocchia e il busto era senza testa, con le braccia strappate via. Era una donna perfetta. Senza voce per parlare, senza gambe per scappare,  senza volontà, senza tutte le cose inutili e fastidiose.
Entrai. Da dietro, dopo averla girata sul tavolo della cucina, come si addice ad una puttana.
Mi faceva sudare, mi faceva impazzire. Strinsi il suo seno con tutta la mia forza e lo feci diventare ancora più viola. Non era morbida, no, non era calda come poteva esserlo Sarah Jessica O’ Brian, oppure Lucy McHanzie, no, era fredda, ricordo bene. Ogni volta, tenevo i corpi finché era possibile, man mano mi nutrivo di qualche loro pezzo, finché diventavano non più mangiabili e non più scopabili. A quel punto me ne liberavo, di solito nel cesso, un pezzetto alla volta, altri pezzi più grandi li lanciavo nell’ inceneritore.
Bussarono alla porta. Mente ero intento a scopare quella troia fatta a pezzi, bussarono alla mia porta. Accelerai il ritmo, sudato cercavo di finire prima che fossi stato costretto ad aprire. Suonarono di nuovo. Ansimando gridai : << Uh-Un attimo, arrivo !>>. “Magari” pensai.
Non ci riuscii, andai attraverso il salotto a chiedere chi fosse.
“Dolcetto o Scherzetto ?” Mi sentii rispondere dalla parte opposta. Cosa ? Ragazzini ! Proprio adesso. Andate via, maledetti adoratori del Diavolo, andate via !
<<Non ho nulla da darvi ragazzi, passate un’ altra volta, ora non ho tempo !”
Erano maleducati. Figli di genitori degenere, che li avevano messi al mondo, come conseguenza di atti di estrema libidine, non sapevano controllare i loro istinti animaleschi ed allora, lo facevano. Scopavano, come porci, come conigli e lasciavano uscire in mezzo alle urla ed al sangue, dalle loro luride fiche colanti, i loro figli bastardi, incarnazione del peccato !
<<Ehi, spilorcio – mi dissero spiando dalla finestra – dacci qualcosa o ti riempiamo la casa di vernice e viscere di pollo !>>.
Uno di loro, con un piede di porco sfasciò la vetrata. “Fermi !” gridai, ma non mi diedero ascolto.
Ridevano, si  ridevano di me, vestiti da mostri, diavoli : creature del male !
Mi ricomposi in fretta, allacciai i pantaloni e mentre stavo per aprire la porta per scacciali, un flotto di vernice verde, come il vomito che mi provocavano, mi colpì in viso. Indietreggiai. Altri palloncini pieni di colore liquido vennero lanciati dalla finestra e così mi riparai dietro l’angolo di un corridoio. Imprecando ed ansimando, mi toglievo la vernice dagli occhi, mentre andai a prendere l’ idrante. Li avrei mandati via con l’ acqua gelida del serbatoio. Scacciati, come dannosi cani randagi. Insieme alla vernice lanciarono viscere, budella di volatili da allevamento, insieme a teste e scarti di pesce. Tenendo stretta la pompa grigia, ad una delle estremità, guardai il crocifisso per un istante, ma qualcosa di pesante mi colpì. Mi riparai il viso con le braccia, ma l’ idrante mi scivolò dalle mani schizzando acqua ovunque. La mia casa era piena d’ acqua. Il mio salotto zuppo, se lo avesse visto mia madre mi avrebbe punito, si mi avrebbe messo in castigo, nella cantina, in quel brutto posto ed il Diavolo mi avrebbe legato e mi avrebbe toccato, fatto male.
Scivolai. Sentivo le loro risa, si burlavano di me. Bastardi. Non l’ avrebbero fatto se avessero, se solo avessero saputo con chi avevano a che fare. Li avrei uccisi con le mie mani, a morsi. Tutti. Tutti loro. I miei occhi lacrimavano. Ancora sento l’ ardore della vendetta in questo malandato corpo. In quel momento, mentre a carponi sul pavimento bagnato, pieno di colore e budella, mentre cercavo invano di bloccare  il flusso dell’ acqua dell’ idrante, sentii quello che mi urlò, ridendo, uno di loro, miserabili : <<Guardate com’ è goffo ! Ahahah, sembra una tartaruga girata sul dorso !>>.
Mi voltai di scatto in preda all’ ira e fu allora che la vidi. Rotolava ancora. Si fermò davanti ai miei occhi. Era ancora più brutta di quando l’ avevo ammazzata. La testa di quella puttana a pezzi sul mio tavolo in cucina.
L’ avevano trovata. Io l’ avevo lasciata lì, nel canale, in modo che senza gli occhi, non aveva potuto vedere la via e la sua anima, non mi avrebbe trovato, senza orecchie non avrebbe potuto sentire niente di dove andavo.
Ma loro l’ avevano portata da me, loro, i figli del Diavolo ! Era già tutta sporca, viola, piena di insetti, vermi schifosi. Aveva il rossetto sbavato e mi provocava immenso terrore.
Mi aveva trovato. Il suo spirito vendicativo mi aveva trovato, aveva incaricato i suoi seguaci malefici di portarla da me. Ora mi avrebbe ucciso.
Mi alzai e con gli occhi accecati dalla paura, incurante ormai dell’ acqua dell’ idrante, della vernice e della budella dei commestibili animali, iniziai a correre per il corridoio, oltre il salotto. Il pavimento zuppo. Scivolai. Il mio corpo sfondò la vetrata alla fine dell’ ambulacro. Provai a reggermi al bordo della grande finestra, ma i vetri mi ferirono le mani.
Pensavo a proteggere la mia vita. L’ anima di quella puttana morta mi avrebbe trascinato con se    all’ Inferno, per vendicarsi ed in più la mia casa era una discarica adesso, mia mamma mi avrebbe punito.
Caddi di sotto. Terzo piano, a picco sulla scogliera di White Lake. Le rocce che si avvicinavano. Buio.
Mi sono risvegliato in ospedale. Legato, dicono che mi hanno arrestato. Ci sono poliziotti a sorvegliare la mia camera. Ma non mi avranno. Mai !

Cordiali Saluti.
                                                                           
                                                                                      Albert Embert detto “Il Lupo di Rachelville”

1/11/ 1923, il giorno dopo…
L’ edizione straordinaria de “Il Corriere delle ore di Rachelville” , recava in prima pagina la seguente notizia :  “Il Lupo di Rachelville si suicida in ospedale dopo l’ arresto, rubando un bisturi”.
Servizio a Pag. 3.

                                                   
FINE.
                                                                                                           Anthony

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