venerdì 8 settembre 2017

Epica - The Solace System - Recensione Album #19


A cura di Anthony

Attenzione, recensione disponibile anche sul sito All Around Metal

Gli Epica fanno sul serio !
La band olandese sembra stanca di essere considerata parte di un genere per ragazzini e, diciamolo, ogni fan è stanco di sentirsi dire che li ascolta solo per l'abbagliante bellezza della singer Simone Simons, cosa veramente ridicola.
Hanno quindi appesantito il loro sound già da tempo, inserendo elementi tipici di generi molto più estremi, come Death Metal, Djent, ma anche Progressive e Black, creando uno stile proprio della band, che ha ben poco da spartire, a mio avviso, con le restanti nuove leve del Synphonic.
Le composizioni della band sono serie, moderne e fresche, impegnative, geniali oserei dire, i brani sono studiati, sono sofferti e mai banali, l'immensa capacità compositiva degli olandesi, si è andata raffinando, affinandosi ed affilandosi, divenendo col tempo, una vera e propria punta di diamante del Metal mondiale di oggi-giorno.
Accantonati i temi più “goth”, che li avevano resi celebri all'inizio della loro carriera, gli Epica, si sono spesso concentrati su tematiche sociali ed introspettive, ma, dall'uscita di “The Quantum Enigma”, il nuovo amore concettuale della band, sembra essere la fisica quantistica, lo spazio, l'universo e tutto il senso cosmico di un senso ed una modalità dell'esistenza della vita e della materia stessa, che è veramente troppo inconcepibile per un semplice essere umano, ma al tempo stesso, ugualmente affascinante. Ed ecco quindi, che a più di tre anni di distanza da “The Quantum Enigma”, vede la luce ciò che possiamo definire come il completamento di “The Holographic Principle”, la chiusura del cerchio, ovvero l'Ep “The Solace System”, uscito esattamente un anno dopo l'album di cui è il giusto proseguimento.
“The Solace System” contiene sei brani ripescati tra quelli scartati dalla tracklist di “The Holographic Principle”. Si presenta con una elegante ed accattivante confezione digipack, con una copertina che definire meravigliosa è un eufemismo, e non solo perché dopo anni finalmente torna Simone in copertina, e la cosa non può fare che piacere !
La prima traccia, senza nessun fronzolo, senza una classica intro, tanto care alla band, è la title-track “The Solace System” e, ciò che salta subito all'occhio, o meglio, all'orecchio, è l'immenso senso di “elevazione”, di cui è pregna l'atmosfera. Si ha subito la sensazione di stare ascoltando qualcosa di “alto”, di maestoso e complesso. I cori iniziali donano immenso spessore e carattere al brano e, dopo una pausa generale, la voce dolce e fresca di Simone entra in campo già sparata a mille, subito seguita a ruota dal grunt granitico di Mark Jansen, contornato dai cori, ampi ed accattivanti. La sezione ritmica non accenna mai ad un calo, neanche durante le strofe, ma resta costante, aggiungendo colpi di doppia cassa a tappeto, durante il ritornello e, come sempre nello stile della band, molta importanza è data alla parte puramente strumentale dei brani, che qui raggiunge il suo apice con un assolo splendido e funesto, forse leggermente corto per i miei gusti, ma che poi va ad esplodere sul drop e regala un ricamo sublime, dove il sistema solare, viene meravigliosamente omaggiato. Con la seconda traccia, “Fight Your Demons”, tornano i temi positivi e carica di speranza di cui gli Epica hanno sempre abusato e mi stupisco di come un brano del genere, possa essere stato scartato dalla tracklist dell'album principale (The Holographic Principle). Il Djent regna, su delle fasi forse leggermente canoniche, ma con una immensa potenza delle terzine e con una distorsione dura come un masso, creano una cascata di martelli dietro le pelli. L'assolo poi, è il vero punto d'arrivo di questo brano, uno sfogo, una violenza unica, voci femminili e growl cupi si alternano in una costante ascesa verso l'infinito, ricordandoci di non arrenderci mai e di continuare a combattere i nostri demoni. Il vero capolavoro di questo Ep, è però sulla pista d'atterraggio, ed arriva puntuale al numero tre, con il titolo “Architect of Light”, un brano magnifico, emozionante e sensazionale, che con i suoi cinque minuti e ventun secondi, riesce a far realmente immaginare mondi “exta-materiali”, fatti di una essenza che non possiamo neanche immaginare e concepire sulla Terra, vivi una dimensione cosmica talmente assurda e reale al tempo stesso, che può solo appartenere al divino. E mi chiedo cosa abbiano pensato quando lo hanno scartato, perché è uno dei punti di forza non solo di questo concept, ma di tutti gli ultimi anni della band.
Scintillii di Synth, tastiere che paiono uscite da un film epico su Re Artù e i Cavaliere della Tavola Rotonda, per poi esplodere con un riffing ed una melodia vocale dei cori, che è tra le migliori ascoltate nell'ultimo periodo. La lead vocalist accarezza le nostre anime con una voce dolce e fresca, e smorza la potenza incontenibile della sezione ritmica che non accenna a calare di un tono, soprattutto quando sono i Grunt di Mark ad entrare in gioco ed un blast beat fitto come un groviglio di rovi, si stende a tappeto sotto tutta la composizione. E poi la magia : Architetture innaturali di castelli fatti di luce e pietra si stagliano davanti ai miei occhi sognanti, con fasci di luce dorata che tagliano in diagonale le loro sagome bianche, cori angelici e l'immensa maestosità di questa band e della Dea che fa da Frontgirl, che si eleva al di sopra di tutto, della terra, del sistema solare, della realtà stessa, che ci dona un assaggio, un pezzo d'Arte, di una magnificenza ultraterrena !
Ancora imbambolato da una meraviglia del genere, con l' anima sazia ed in estasi, mi accingo ad ascoltare “Wheel Of Destiny”, quarta tappa di questo viaggio in musica, nel sistema solare. Una esplosione di potenza e riffing da old school, creano il giusto mood per aprire la strada ad un pre-chourus strumentale che va ad allungare l'intro senza stancare. La voce di Simone saltella sulla chitarra ritmica, rincorsa da un poderoso growl, che la costringe a rifugiarsi in un ritornello molto piacevole ed accattivante. Benché il brano non raggiunge il livello del suo predecessore, risulta ben studiato, bilanciato e con una buona sezione strumentale a cui viene lasciato una buona dose di spazio, pur restando su fasi canoniche. Il giusto brano per alleggerire l'Ep, almeno emotivamente, perché qui il metal è predominante e la potenza dei brani è costante, almeno fino alla prossima canzone, ovvero “Immortal Melancholy”, dove se la potenza cala, donando un attimo di tregua ai nostri timpani, è l'emotività a raggiungere le stelle ! La ballad è lenta e calma, ed è una leggera chitarra acustica a partire, sorretta da un basso forse troppo predominante e potente. La voce di Simone è molto “in your face”, pulita, melodica, molto fresca e tenera ma con delle punte di lirico che ne smorzano la dolcezza. Il brano è corto, si tratta del pezzo più breve dell'Ep e credo che sia la sua dimensione adatta, una lunghezza maggiore avrebbe finito per snaturarlo, a discapito della freschezza. Una canzone che, pur essendo una ballad, dice in faccia ciò che ha da dire e lascia l'ascoltatore a riflettere su quelle parole, senza aggiungere altro, facendo in modo che sia egli stesso, ad aggiungere ciò che il proprio cuore pretende ancora di sentirsi dire. Meraviglioso.
Ultimo step, purtroppo, per “Decoded Poetry”, la vera chiusura del cerchio, con questo, il principio olografico è finalmente concluso, eviscerato, spiegato e completo, ultimo brano che può finalmente liberare la band da questo macigno troppo pesante da reggere e da sopportare, ed ora con queste note prepotenti, che tornano a martellare innalzandosi nel cosmo, possono finalmente dare pace a quest'arte irrequieta.
Il pezzo torna sul livello dei pezzi precedenti ad “Immortal Melancholy”, ovvero un brano molto potente in pieno stile Epica, con parti sinfoniche che vanno ad arricchire la composizione ritmica che oscilla tra Thrash metal e Djent, con spruzzate di vari altri sottogeneri, che non fanno altro che dare ulteriore “odore”, ad un pezzo che di suo, è già molto vario e complesso. La voce che si unisce alla parte finale dell'assolo, è veramente la ciliegina sulla torta, che ci accompagna al finale, al culmine di tutto, che non poteva essere che magnifico e maestoso, pomposo come solo una band sinfonica di tale livello può essere.
Gli Epica sono tornati alla grande a solo un anno di distanza e ci regalano un ulteriore assaggio, dopo una gustosissima ed abbondante portata come lo è stato The Holographic Principle, di quello che possono tirare fuori dalla loro incredibile capacità compositiva e bravura eccelsa. Inutile dire il contrario.
In conclusione, con il chitarrista Isaac Delahaye, ha tenuto in più di una occasione a ribadire, “se prima d'ora gli Epica sono stati una band Synphonic, con componenti metal, ora sono una band assolutamente Metal, con componenti Synphonic”, lontana anni luce (è proprio il caso di dirlo), dal finto metal che infesta i festival ormai, che vive d'immagine con frontgilrs scosciate, scollate ed ammiccanti, con un look che oscilla tra il goth e l'emo, e che hanno ben poco da offrire se non una distorsione durante gli innumerevoli ritornelli e sempre più centimetri di pelle da mostrare.
Gli Epica sono un altro mondo, un altro universo e lo dimostrano lavoro dopo lavoro, con una bravura, capacità e coraggio, che li ha già resi maestri di tale genere e che li sta portando man mano, sempre di più nella leggenda.

Anthony
Tracklist:

01. The Solace System
02. Fight Your Demons
03. Architect Of Light
04. Wheel Of Destiny
05. Immortal Melancholy
06. Decoded Poetry

Line Up: 

Simone Simons – Lead Vocals
Mark Jansen – Chitarra ritmica, Grunt
Isaac Delahaye – Chitarra solista, Cori 
Rob van der Loo – Basso 
Coen Janssen – Tastiere e Synth
Ariën van Weesenbeek – Batteria, Growl



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