Paura !
Tu non hai paura.
...e se tutti si
disinteressassero alla paura ? Il mondo sarebbe un posto migliore ?
Eric pensava di si.
E lui non aveva paura, a
nulla valevano gli scherzi degli amici, a niente servivano gli
eccessi a cui si sottoponeva, lui negava la paura.
Ma la paura negava lui ?
Era notte fonda e come
tutte le notti lui correva, amava fare jogging nelle strade buie e a
cuffie incastonate nelle orecchie con musica a palla, lo faceva da
sempre a quanto ricordasse, e così continuava a correre senza una
meta ben precisa.
Dopo un'ora passata a
vagare per la città deserta un lampo attraversa il campo visivo di
Eric e poco dopo pochi passi si ritrova faccia a faccia con una
vecchietta dall'aria innocua.
Come nulla fosse il
ragazzo passò oltre, ma con uno scatto disumano la vecchietta lo
afferrò con una morsa ferrea e a nulla valsero gli sforzi del
giovane di divincolarsi.
-Hai paura ?- furono le
parole che vennero pronunciate dalla vecchia signora che rivelò un
ghigno sdentato.
Eric rispose con un
beffardo cenno del capo e proprio come a risposta dell'insulto la
donna strinse ancor di più la presa affondando le unghie nella carne
del giovane che urlò e cercò di divincolarsi con rinnovato ardore,
quando riuscì lo strattone gli fece perdere l'equilibrio e
facendogli fare delle ridicole piroette su se stesso, quando riprese
il controllo e giratosi per dare una lezione a quell'odioso mucchio
di ossa, la vecchietta non c'era più. Svanita.
Era decisamente ora di
tornare a casa, gli serviva una bella doccia ed una dormita.
Incamminandosi verso casa
la vista gli si annebbiò, e mentre avanzava cercava di spostare
immaginari banchi di nebbia, dopo essersi messo a correre per
raggiungere in fretta la sua abitazione venne assalito da violenti
conati di vomito e all'ennesimo spasmo svenne.
Si risvegliò per via di
un bagliore accecante, era in una sala operatoria, lo capiva dalla
caratteristica lampada che torreggiava su di lui.
Ad un tratto entrò nel
suo campo visivo un'infermiera, scarna e senza una parte di mascella,
il che lasciava intravedere lembi di nervo e i sottostanti denti,
neri e putridi.
Battè le ciglia
esterrefatto e la visione scomparve lasciando il viso di una giovane
infermiera sano e piacente.
-Non aver paura- si sentì
dire da una voce, quella di un uomo presumibilmente il dottore.
-Di cosa dovrei aver paura
?- protese il mento in avanti per vedere cosa stessero operando, era
tutto così assurdo ! Vide lo sgardo vuoto del dottore, senza pupille
e con una voragine nera per bocca.
Era intento a tranciargli
un piede con un seghetto arrugginito, provò a divincolarsi ma era
legato ben stretto al letto.
E poi si riscosse.
Era ancora a terra nella
strada buia dove era svenuto.
"Bel casino"
pensò, doveva aver mangiato male.
Finalmente fu in casa e
come da programma si svestì, fece una doccia e si coricò.
Per quella notte ne aveva
abbastanza.
Il mattino seguente si
svegliò di malumore, fece una rapida colazione e uscì diretto a
lavoro, il fast food che tanto odiava.
All'entrata del fast food
c'era un insolito cartello.
-Temi il buio, temi la
paura stessa.- Pensò ad uno scherzo di pessimo gusto, quindi
spalancò la porta deciso ad iniziare una nuova noiosa giornata di
lavoro, ma dove avrebbe dovuto esserci il pavimento si estendeva una
voragine e lui vi cadde dentro dimenandosi come un forsennato.
Rassegnato alla fine si
chiuse in posizione fetale pronto all'impatto che l'avrebbe ucciso,
dopo svariati minuti si arrischiò ad aprire gli occhi, e si ritrovò
disteso su di un pavimento bianco.
Urla disumane lo
circondavano, ma che stava succedendo ? Era un'allucinazione ? Poteva
essere, altrimenti tutto quello che vedeva non si sarebbe potuto mai
spiegare col raziocinio.
E dopo poco una bella
signorina in camice bianco era china su di lui raggomitolato sul
pavimento.
-Eric non preoccuparti,
sei nella tua stanza, al sicuro da tutto, è l'ora delle tue
medicine-.
Medicine ? Si rialzò e
dopo una rapida occhiata si scoprì in un manicomio.
Ma che cosa stava
succedendo ? Continuava a non capire.
Tentò quindi il tutto per
tutto, se era un incubo doveva uscirne e così cercò l'uscita ma una
guardia apparsa all'improvviso lo bloccò e respinse in quella che
era la sua cella, appena aprì gli occhi dopo il tramortimento si
rese conto che la guarda aveva la bocca cucita come anche le
palpebre, e come se non bastasse gli avevano mozzato le orecchie.
"Non può essere, è
uno scherzo !" Continuava a ripetersi, tuttavia sembrava tutto
così reale.
Aveva un forte dolore alla
testa.
Cresceva come un fischio
perenne che gli trapanava i timpani.
Urlava e non sentiva la
sua voce.
Allora pianse, perchè
nulla gli restava da fare se non accettare ciò che vedeva.
Era in una manicomio e lui
era pazzo.
Appena ebbe preso
coscienza di tutto suonò la campanella del pranzo, quel suono lo
riportò ai suoi bisogni fisici.
Aveva fame, sete e sonno.
Mentre si avviava al
refettorio, fra urla, tic involontari e schizzofrenie varie,
intravide in ogni faccia tutti i suoi amici, tutti quelli che erano
importanti per lui, persino un paziente che portava il collare del
suo cane.
Era pazzo senza ombra di
dubbio.
Passò la giornata e venne
l'ora del coprifuoco, così le luci vennerò spente e il manicomio
sprofondò nel silenzio.
Era notte fonda, una voce
ora lo chiamava per nome, e lui obbediente la seguiva come in trance,
ma una parte del suo cervello continuava a pensare.
La porta si aprì e rivelò
una bellissima donna, la seguiva fuori, ed ora era in corridoio, ora
in refettorio, ora in giardino, ora sul tetto dell'ospedale
psichiatrico.
-Lanciati, capirai.-
Sembrano dolci e melodiose parole alle quali solo un vile non avrebbe
obbedito con tutto se stesso, ma nella prigione della sua mente
disastrata cominciava a farsi strada il pericolo, lanciarsi era un
suicidio e suicidarsi significava la morte.
Pur avendo un sorriso
stampato in faccia sapeva di tremare, lo sentiva, e mentre si
avvicinava al bordo la voce continuava ad incitarlo finchè non mutò.
La soave musica si
trasformo in una cacofonia di tutte le lingue del mondo, le quali
dicevano solo : Paura.
Allora mise il primo piede
in fallo, e la sua caduta fu inarrestabile verso il terreno, una
caduta che portava solo alla morte.
Urlò.
Urlò come non aveva mai
fatto prima, e mentre urlava piangeva e malediceva il destino che lo
aveva condannato ad una fine così ignobile.
Mentre ancora cadeva in
preda al delirio una voce nella sua testa gli chiese : -hai paura ?-
e lui rispose nel suo urlo -si ho paura-.
Il mondo si sgretolò
sotto i suoi occhi e si ritrovò a terra, in una pozzanghera sulla
strada dove era svenuto poco dopo l'incontro con la vecchia donna.
Si rialzò a fatica non
riuscendo a dividere più il reale dall'immaginario, e lì rivide la
donna che con un ghigno sdentato gli disse -visto ? Tutti cedono alla
Paura-.
E si dileguò in una
nuvola nera.
Nei mesi seguenti passo
notti insonni, cominciò ad accusare disturbi dell'attenzione fino a
sfociare nella totale schizofrenia, lo portarono in una clinica
specializzata dove passava le giornate a disegnare sui muri e a
ripetere tutti i supplizzi che la Paura gli aveva mostrato.
Dopo due anni a causa di
un buco nella sorveglianza Eric si gettò dal tetto dell'ospedale.
Lo ritrovarono con un
sorriso beato sul volto.
La paura di Eric era
sempre stata quella di diventare pazzo.
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